Verso il referendum. Tutto quello che c’è da sapere per votare (o non votare) informati
I numeri sulle concessioni di ricerca gas e petrolio, i rischi ambientali, le ricadute economiche e occupazionali. Tutto quello che è in gioco con il voto referendario
di Roberto Bonafini
Domenica 17 aprile si vota per il referendum che chiede agli italiani se vogliono abrogare l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale” come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)” , limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale?".
Il referendum è valido se si esprime il 50% degli elettori più uno. L’astensione dal voto, prevista dalla Costituzione attraverso lo strumento del quorum, è uno strumento di espressione e in questo caso nel risultato si affianca ai voti no.
Il testo referendario chiede che venga abrogata la norma che consente di allungare la durata della concessione fino alla vita utile per i giacimenti già in attività in mare nelle acque territoriali entro le 12 miglia marine (22,2 chilometri) dalla costa. A proporlo sono stati dieci consigli regionali (Abruzzo, Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna,Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise), il Comitato referendario è composto invece dalla Confederazione italiana agricoltori, Slow food, Alleanza cooperative della pesca, Fiom Cgil, Lipu, Greenpeace, Legambiente, Wwf, Arci, ASud, Touring club, Italia Nostra. Contraria invece la Filctem Cgil.
I numeri, le cose da sapere
Le concessioni di coltivazione in mare presenti entro le 12 miglia e oggetto del quesito referendario, sono 44 anche se non tutti i pozzi sono produttivi. Di queste 33 rientrano completamente nelle 12 miglia dalla linea di costa e dalle aree protette, mentre altre 11 lo sono prevalentemente (più del 75% dell'area).
In 42 si estrae gas naturale e in 17 anche derivati del petrolio, mentre solo in 2 giacimenti si estrae il solo petrolio. Le scadenze delle concessioni partono dal 2016 (2 concessioni), 5 concessioni scadono nel 2017, 4 nel 2018, 7 tra il 2019 e il 2024, 5 nel 2027. Sono 7, invece, le richieste di proroga presentate e il cui iter è stato avviato e che non saranno coinvolte dagli esiti del referendum.
Così come evidenzia il Rapporto Annuale 2015 della Direzione Generale Risorse Minerarie ed Energetiche Complessivamente, la maggiore produzione di gas in Italia deriva dalle concessioni ubicate in mare (4,86 miliardi di metri cubi pari al 67% della produzione nazionale) e soprattutto nell’Alto Adriatico dal Friuli alla Romagna (3.336 miliardi di metri cubi su 7.200, pari al 46% della produzione totale italiana di metano, e il 68% dell’estratto dal mare).
Le compagnie impegnate nelle trivellazioni in mare entro le 12 miglia sono 6: Eni possiede 31 titoli di concessioni di cui 5 in joint venture con Edison, Gas Plus Italiana Rockhopper Italia; Edison detiene, invece, 12 titoli di concessioni di cui 10 in jv con Eni e Adriatica Idrocarburi; Adriatica Idrocarburi che detiene i diritti di coltivazione in 3 pozzi come operatore unico e 2 in joint venture con Edison; GasPlus Italiana che ha una quota del 5% in 3 concessioni con Edison; Eni Mediterranea 2 concessioni; Rockhopper Italia che ha una concessione in Jv con Eni.
Per le loro estrazioni le compagnie hanno erogato complessivamente nel 2014 poco più di 402 milioni di euro di royalties allo Stato e agli enti locali, ma anche al Fondo Riduzione Carburanti e al fondo per l’Ambiente e Sicurezza ammontano. La quota principale va alle Regioni interessate (182,4 milioni). Per l’Aliquota sostenuta a tutela dell’ambiente marino e la sicurezza degli impianti offshore ex art. 35 del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83) sono stati destinati 33,9 milioni di euro.
A proposito dei danni ambientali
Le trivellazioni effettuate a pochi chilometri dalla costa danneggiano l’ambiente, secondo i promotori del referendum, perché possono contaminare la fauna marina, causare l’abbassamento della superficie del suolo, la cosiddetta subsidenza, e possono causare incidenti come quello alla Deepwater Horizon nel Golfo del Messico. Dopo quell’ecodisastro anche in Italia venne decisa una regolazione più stringente delle ricerche di idrocarburi nei mari italiani che portò all’approvazione nel 2010 del decreto Prestigiacomo che innalzava da 5 a 12 miglia il limite costiero entro il quale autorizzare prospezioni e ricerca di idrocarburi in prossimità di aree protette marine.
Due anni dopo la questione è oggetto di un nuovo controverso Decreto Sviluppo dell’allora Governo Monti. Da un lato, la norma conservava le 12 miglia entro le quali sono vietate le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di gas e di greggio. Dall’altro, però, faceva salvi “i procedimenti concessori in materia di idrocarburi offshore che erano in corso alla data di entrata in vigore del cosiddetto “Correttivo ambientale'”.
Le ragioni del Sì
Contaminazione cozze - Greenpeace ha pubblicato i dati del rapporto “Trivelle fuorilegge" che mostrano una contaminazione ben oltre i limiti previsti dalla legge per almeno una sostanza chimica pericolosa nei tre quarti dei sedimenti marini vicini alle piattaforme (76% nel 2012, 73,5% nel 2013 e 79% nel 2014). Ancor più: i parametri ambientali sono oltre i limiti per almeno due sostanze nel 67% dei campioni analizzati nel 2012, nel 71% nel 2013 e nel 67% nel 2014. Anche nelle cozze la presenza di sostanze inquinanti ha mostrato evidenti criticità”. A parere di Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace, “ci sono contaminazioni preoccupanti da idrocarburi policiclici aromatici e metalli pesanti, molte di queste sostanze sono in grado di risalire la catena alimentare fino a raggiungere gli esseri umani. Nei pressi delle piattaforme monitorate si trovano abitualmente sostanze associate a numerose patologie gravi, tra cui il cancro.
Subsidenza - Giuseppe Gisotti, presidente della Società italiana di geologia ambientale, ha detto vi sono rischi geologici e ambientali nell'attività di trivellazione, quali la subsidenza indotta dalla attività estrattiva e della sua pratica irreversibilità, la produzione di rifiuti pericolosi con rischio di inquinamento del suolo, sottosuolo, acque superficiali e profonde. A parere del geologo Franco Ortolani, le attività potrebbero influenzare l'attività sismica e il rischio di compromettere in modo definitivo e irreversibile la disponibilità qualitativa e quantitativa delle risorse idriche.
Le ragioni del No o dell’Astensione
Contaminazione cozze - A rispondere allo studio di Greenpeace ci pensa Eni. La compagnia petrolifera evidenzia che le analisi svolte dagli enti di controllo e i rapporti confermano che non vi sono criticità per l'ecosistema marino riconducibili alle attività di produzione di idrocarburi in nessuna delle matrici ambientali monitorate. Nel merito di quanto riportato nel documento pubblicato Eni precisa poi che i limiti presi in considerazione da Greenpeace per le sostanze oggetto di monitoraggio non rappresentano limiti di legge definiti per valutare l’eventuale inquinamento derivante da una specifica attività antropica”.
Quanto poi all’inquinamento da idrocarburi nel Mediterraneo, è utile ricordare che studi effettuati da Università e Istituti scientifici evidenziano che per il 60% tale inquinamento deriva da scarichi civili e industriali e per il 40% dal traffico navale, che riversa in mare circa 150.000 ton/anno di idrocarburi. Insignificante, invece, l’apporto dell’attività petrolifera (< 0,1%)”. In particolare, aggiunge l’Eni, “con riferimento ai mitili che crescono spontaneamente sulle gambe delle piattaforme, in particolare sugli impianti ubicati nelle aree marine antistanti la costa romagnola, esiste da molti anni un accordo tra Eni ed i pescatori ravennati per la raccolta. La Cooperativa Pescatori di Ravenna è autorizzata alla raccolta e commercializzazione delle cozze per uso alimentare da parte della Regione Emilia Romagna e i molluschi sono soggetti a continui controlli da parte della ASL sulla componente biologica, metalli e idrocarburi, prima dell’autorizzazione all’immissione sul mercato. La normativa sanitaria prevede analisi molto specifiche: sulle biotossine (PSP, ASP, Acido okadaico, Yessotossine, Azasparacidi); batteriologiche (Escherichiacoli, Salmonelle) e chimiche (Pb – piombo, Hg - mercurio, Cd – cadmio). A partire dal 1991 vengono realizzate ogni anno circa 900 analisi per tutti gli impianti di allevamento mitili e piattaforme offshore presenti sul territorio regionale.
Il comitato Ottimisti e razionali evidenzia invece che le 34 piattaforme menzionate nello studio non sono trivelle, “ma piattaforme per la produzione di gas metano. Tutte autorizzate allo scarico a mare o alla reiniezione in unità geologiche profonde sulla base di autorizzazioni rilasciate dal Ministero dell’Ambiente. Gli scarichi a mare sono sottoposti a continui controlli anche da parte delle Capitanerie di Porto di competenza, coadiuvate dalle Arpa, che effettuano verifiche sul rispetto dei volumi di acque scaricate, sulle manutenzioni eseguite sui sistemi di trattamento e campionamenti (annuali per gli scarichi e trimestrali per la reiniezione) per la verifica analitica del rispetto delle prescrizioni previste nei decreti di autorizzazione.
Infine sulla questione delle 100 piattaforme mancanti Eni spiega che quelle di propria pertinenza, “non emettono scarichi a mare, né effettuano re-iniezione di acque di produzione in giacimento, pertanto non ci sono piani di monitoraggio prescritti e nessun dato da fornire”.
Rischi petroliere - I risk manager facenti capo all’Anra, l'associazione che dal 1972 raggruppa i risk manager e i responsabili delle assicurazioni aziendali, dicono che il referendum “di fatto non risolve il vero problema della gestione dei rischi ambientali e idrogeologici nel nostro Paese”. A parere del presidente, Alessandro De Felice, “si tratta dell'ennesima occasione persa dal Paese, perché si utilizza una consultazione popolare e democratica come l'istituto referendario per provare a risolvere una questione puntuale di negoziazione di sfere di influenza tra Stato e Regioni”. Egli aggiunge poi che non potendo da un giorno all'altro sopperire a questo fabbisogno con le fonti rinnovabili, il tutto si tradurrebbe in maggiori importazioni ed incremento di traffico navale (navi gasiere e petroliere) nei nostri mari, con conseguente inquinamento dei mari e paradossalmente aumentando così a dismisura il rischio ambientale rispetto a quello rappresentato dalla produzione delle piattaforme.
A proposito delle conseguenze economiche
Le ragioni del Sì - A proposito di costi e benefici derivanti dalla fine delle trivellazioni nell’alto Adriatico, il dossier di Legambiente Emilia-Romagna sulla subsidenza ha calcolato il costo della sabbia necessaria al ripascimento delle coste dell'Emilia-Romagna per via dell'erosione della costa. L'abbassamento di un centimetro all'anno comporta, nello stesso periodo, una perdita di un milione di metri cubi di sabbia sui 100 km di costa. Assegnando alla sabbia il costo di 13€/m³, ogni anno andrebbero spesi 13 milioni di euro per rimpiazzare la sabbia persa. Nella fascia costiera, tra il 1950 e il 2005 tra Rimini e il delta del Po, per via dell'abbassamento di circa 1 metro, sono andati perduti circa 100.000.000 m³ di sabbia, con un danno stimato di 1,3 miliardi di euro . Come si è visto, la subsidenza e l'erosione della costa non sono certamente causati solamente dalle estrazioni di gas, ma anche da fenomeni naturali e da altre attività umane, quali l'estrazione di acqua dalle falde. L'estrazione di gas rappresenta comunque una componente del fenomeno, e quindi dei danni, e, dati gli ordini di grandezza in campo, è comunque significativo lo squilibrio tra l'ammontare dei possibili danni e le royalties corrisposte ai territori. In altre parole: le cifre incassate da Comuni e Regione non sono sufficienti nemmeno a ripagare la sabbia persa dalla costa emiliano-romagnola.
Secondo Greenpeace, “il 73 per cento delle piattaforme situate entro le 12 miglia marine dalle coste italiane sono non operative, non eroganti o erogano così poco da non versare neppure un centesimo di royalties alle casse pubbliche. Analizzando i dati presenti sul sito del Ministero per lo Sviluppo Economico relativi alla produzione delle piattaforme oggetto del referendum del prossimo 17 aprile, Greenpeace ha scoperto che in tre casi su quattro si tratta di impianti il cui ciclo industriale è chiaramente esaurito perché non producono o lo fanno in quantità insignificanti”.
Le ragioni del No o dell’Astensione - Secondo i contrari al referendum non si capisce perche l’Italia non debba godere del contributo derivante dal nostro sottosuolo al fabbisogno italiano che vale il 10,3% dei consumi di olio e dell'11,8% del gas naturale sul totale del fabbisogno per un valore complessivo di 4,5 miliardi di euro all'anno che verrebbe colmato dalle importazioni. Dato che la quota di energia prodotta da quelle attività estrattive non verrebbe sostituita da altrettante pale eoliche o pannelli solari, ma da altrettanto gas naturale o petrolio proveniente da altre parti del mondo diventeremmo quindi maggiormente dipendenti dai paesi fornitori come la Russia.
I docenti e addetti ai lavori favorevoli alle trivellazioni hanno scritto una lettera aperta nella quale dicono che “un esito favorevole al referendum causerebbe, per contro, la distruzione di un altro pezzo dell’industria italiana, quella che produce beni e servizi strumentali all’attività mineraria. Un’industria articolata in centinaia di imprese e in decine di migliaia di occupati apprezzata nel mondo tranne che in Italia e che già attraversa enormi difficoltà per il crollo dei prezzi del petrolio e degli investimenti con molte imprese che stanno chiudendo e licenziando”.
Le ricadute occupazionali
Le ragioni del Sì - A parere della matematica e blogger Mariarita D'Orsogna, blogger contro l’estrazione del petrolio, a livello mondiale esiste un saldo del tutto negativo dei livelli occupazionali tra la "nuova" occupazione e quella preesistente nei territori interessati dalle perforazioni .
Le ragioni del No - A Ravenna i lavoratori del distretto energetico più importante d'Italia (il Dics), l'hub dove opera Eni Upstream e nel quale si gestiscono tutte le attività di estrazione, esplorazione e perforazione per l'Italia Centro-settentrionale sono oltre 500 i lavoratori diretti, ma intorno al Dics si stima che ruotino più di 6000 lavoratori tra indiretti e indotto, includendo le grandi multinazionali specializzate (Baker Hughes, Saipem, Halliburton, Schlumberger) e le numerose aziende appaltatrici. Già nel 2015, a causa della crisi, oltre 900 lavoratori sono già in cassa integrazione.
Se il referendum del 17 aprile avesse un esito positivo, il rischio è quello di rimanere "tutti a casa": Emilio Miceli, segretario generale della Filctem-Cgil ha detto polemicamente che "la Cgil ha deciso di non pronunciarsi sul referendum e anche la Filctem farà altrettanto, ma non possiamo sottacere che, a seconda del risultato, il referendum può produrre esiti che ricadranno sui nostri lavoratori, sulla loro occupazione: è inaccettabile”.
Le indicazioni di voto della politica
Votano Sì
Beppe Grillo, M5S - Peggio di GallettiFossile è chi invita i cittadini a non informarsi e a non esercitare il proprio diritto di voto. Il 17 aprile vota sì". Lo scrive su twitter Beppe Grillo. "Galletti è un ambientalista doc: voleva mettere centrali nucleari in Emilia Romagna ed è stato un fiero oppositore del referendum sull'acqua pubblica che infatti il governo sta stralciando in questi giorni”. "Trivellare i fondali marini e esporre le coste italiane a rischi di maree nere come accaduto da poco in Tunisia non è un problema, basterà consumare con moderazione il petrolio che arriverà in spiaggia in caso di incidenti".
Matteo Salvini, Lega Nord - “Il 17 aprile andrò a votare al referendum e voterò sì“.“Il nostro petrolio sono il mare, il paesaggio, l’ambiente e il turismo“.
Minoranza PD - Roberto Speranza, ex capogruppo: “È un'occasione per aprire all'energia verde: abbiamo bisogno di meno fossile e più rinnovabili”.
Votano No
Guerini e Serracchiani, PD - “Questo referendum è inutile. Non riguarda le energie rinnovabili, non blocca le trivelle (che in Italia sono già bloccate entro le 12 miglia, normativa più dura di tutta Europa), non tocca il nostro patrimonio culturale e ambientale”. Lo dicono in una nota i vicesegretari del Pd Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani. “Come hanno spiegato i promotori (alcune regioni) si tratta solo di dare un segnale politico. Perché nel merito il quesito riguarda la durata delle concessioni delle trivelle già in essere. Nient'altro. Ci sono alcune piattaforme che estraggono gas. Ci sono già. Vi lavorano migliaia di italiani. Finché c'è gas, ovviamente è giusto estrarre gas. Sarebbe autolesionista bloccarle dopo avere costruito gli impianti. Licenziare migliaia di italiani e rinunciare a un po’ di energia disponibile, Made in Italy. Col risultato che dovremmo acquistare energia nei paesi arabi o in Russia, a un prezzo maggiore”.
Gian Luca Galletti, ministro dell’Ambiente - "Trovo che questo referendum non abbia ragione. Il problema oggi, ricordo a tutti, non è quello di non estrarre petrolio ma di consumarne meno, di là dalla demagogia e dall'ipocrisia. Per inquinare meno bisogna consumare meno petrolio e meno gas, e in ciò l'impegno del Governo è fortissimo" aggiunge, sottolineando che "non permetterò che il tema ambientale venga utilizzato in maniera demagogica da coloro che vogliono bloccare il processo riformatore del nostro Paese".
Romano Prodi ex presidente del Consiglio - “Il referendum è un suicidio nazionale. Non andare a votare in un referendum inutile e sbagliato è diritto di tutti”. “Ognuno la può pensare come crede ma l’astensione è una posizione costituzionalmente sacrosanta”.