L’Eni disinveste dall’Italia? I sindacati in allarme scioperano
Secondo i sindacati l’Eni vuole uscire dai settori dell'energia e della chimica nel nostro paese. Il caso Saipem. I rischi per Versalis e per la chimica verde. Il documento integrale
Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil proclamano lo sciopero generale di 2 ore di tutti i lavoratori del gruppo Eni e della società Saipem entro il 19 dicembre e terranno una manifestazione nazionale a Roma il prossimo sabato 5 dicembre (auditorium Antonianum in viale Manzoni dalle ore 10) con la presenza dei segretari generali di Cgil, Cisl, Uil Susanna Camusso, Annamaria Furlan, Carmelo Barbagallo.
L'iniziativa di mobilitazione scaturisce - dicono i sindacati - dalla volontà assunta da questi due gruppi industriali di disinvestire nei settori dell'energia e della chimica nel nostro paese, producendo effetti negativi sulla tenuta e il mantenimento dei livelli occupazionali, proprio in una fase che vede l'affacciarsi di una tenue ripresa economica.
Sotto accusa per i sindacati è “la politica industriale del gruppo Eni che, con il nuovo piano di riassetto principalmente rivolto ai mercati internazionali, abbandona la "chimica verde" e la relega a fanalino di coda dell'Europa, l'incertezza sulla prospettiva industriale di Saipem, l'azzeramento di investimenti previsti in alcune altre importanti filiere (estrazione, raffinazione), con il rischio concreto di un disimpegno ed un secco ridimensionamento.
Chiediamo al Governo - insistono i sindacati - di fare chiarezza, di rispondere non solo in qualità di azionista di riferimento, ma quale soggetto regolatore della politica industriale del Paese".
Ecco il testo integrale del documento "Eni abbandona il paese, il Governo faccia chiarezza" redatto dai segretari generali di Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil Emilio Miceli, Angelo Colombini, Paolo Pirani, inoltrato anche ai Presidenti di Regione, ai sindaci interessati, ai membri delle competenti commissioni Lavoro, Industria e Attività produttive di Camera e Senato.
Eni abbandona il Paese, il Governo faccia chiarezza
Obiettivo dell'Eni è quello di concentrare le sue attività solo su esplorazione ed estrazione di gas e petrolio riducendo a queste attività, peraltro sostanzialmente svolte fuori dall'Italia, un modello che è storicamente fondato sull'insieme della filiera, dalla esplorazione alla vendita di idrocarburi.
Ciò significa che tutte le attività che non rientrano nel perimetro indicato permarranno solo transitoriamente all'interno dell'Eni. Ciò comporterà un ulteriore, radicale disimpegno dell'Eni dall'Italia, dove al momento investe una quota importante dei ricavi - circa 6 mld - insieme al rischio della scomparsa di due settori importanti per l'Eni e per l'industria di questo paese: la chimica e la raffinazione. Al momento il management Eni assicura il suo impegno in tutte le raffinerie del gruppo ma la nettezza della premessa sulla riduzione secca del perimetro non lascia spazi a soluzioni diverse da un progressivo sganciamento dell'Eni da questi due settori.
Lo scenario di riduzione e modifica dei consumi dei prodotti petroliferi, dovrebbe determinare un impegno non rinviabile di investimenti in innovazione tecnologica per la produzione di carburanti più puliti, in un quadro di sicurezza dell'approvvigionamento energetico del paese.
L'Italia, invece, rischia di vedere scomparire due settori che sorreggono l'industria del paese ed assisterà, questo è lecito aspettarsi, ad un progressivo ma irreversibile calo di investimenti a danno dei settori e della loro capacità competitiva e quindi dell'intero sistema industriale.
Del resto, l'esordio del management è chiaro. Il riassetto di Versalis e la 'riscopertà della chimica tradizionale comporteranno l'abbandono della "chimica verde" e dunque degli interventi previsti a Porto Torres e Marghera, oltre a mettere sostanzialmente in discussione la credibilità dell'accordo su Gela. La conseguenza di questa scelta è che il processo di crescita della quota di "chimica verde" in Italia rallenterà al punto da accumulare un fortissimo svantaggio competitivo dell'Italia sul resto dell'Europa in termini di ricerca e di prodotti. Saremo il fanalino di coda della "chimica verde" in Europa e di fronte al possibile rialzo, in tempi medi, del prezzo dell'olio e del gas, il paese si troverà di fronte alla necessità di un'ennesima rincorsa sui costi di fronte ai suoi competitori.
L'utile da riduzione di investimenti e da cessioni sarà per l'Eni e le perdite saranno per il paese. Il paese, dunque, perderà capacità industriale ed autonomia nella filiera energetica più complessivamente intesa. Saliremo certamente nella capacità del gruppo di competere nei segmenti alti ma al costo di diventare ininfluenti dentro filiere strategiche in un contesto globale fortemente segnato da intemperie politiche, dall'insorgere di attività terroristiche. E', quello dell'Eni un piano credibile? È credibile che la chimica italiana possa passare in mani straniere senza che ciò comporti una occasione di crescita ma, al contrario, di ridimensionamento? È credibile che il paese non sia più un luogo dove il greggio viene raffinato? È credibile che Eni diventi soltanto un grande 'trader' di oli e gas senza essere accompagnato dalla sua missione tradizionale? Sono queste le domande a cui chiediamo che il Governo risponda non solo in qualità di azionista di riferimento, ma quale soggetto regolatore della politica industriale del paese. L'illusione è pensare che possano convivere crescita e deindustrializzazione. Che basti fare finanza o economia di nicchia, immaginando che la scomposizione delle filiere industriali, le delocalizzazioni, determinando risparmi, alla lunga non facciano un danno al paese. Fuoriuscire dalla chimica e dalla raffinazione, così come cedere quote di partecipazione in Saipem per altro verso e mettere in discussione la presenza nel segmento retail della Direzione Gas & Power, non significa solo provocare collassi occupazionali, svilire opportunità per le nostre aree, soprattutto quelle più depresse del Mezzogiorno, ma far venire meno un tessuto ricco di imprese, piccole e medie, specializzate in lavori a valore aggiunto, qualificate; fare venire meno politiche legate alla ricerca, alla sperimentazione di nuovi processi, rinunciare a specializzazioni decennali.
È, oppure no, questo, un danno per il paese? Cedere per Eni la raffinazione significa in larga parte perderla; rinunciare alla "chimica verde" significa precludere futuro all'Italia; abbandonare alcune attività di Saipem o la vendita del gas per usi civili e commerciali vuol dire determinare gravi problemi occupazionali, perdere contatto con il corpo vivo del paese e non coglierne per intero il valore industriale e sociale.
Rinunciare alla "chimica verde" significa ancora arrestare gli investimenti a Marghera e Porto Torres, alla fertilizzazione di un'area, quella di Gela, dove il Presidente del Consiglio ha garantito, anche con la sua presenza, l'efficacia e la validità di una riconversione complessiva a fronte dei danni del passato.
E poi, cosa significa il ritorno esclusivo alla chimica tradizionale? Si potrà mai fare fronte con un vecchio impianto di cracking alle necessità di competitività e di redditività fondamentali per la sua continuità? Quale prospettiva per il previsto investimento nel settore nell'attività resine nello stabilimento di Priolo, investimento determinante per dare una prospettiva industriale ed occupazionale in questo importante sito industriale?
Il Piano industriale di Versalis 2015 -2018 è ancora a metà del guado, non ha espresso tutte sue le potenzialità ed è lontano dal recupero sperato.
Il Piano prevede investimenti per circa 1,2 mld che si sommano agli oltre 400 mln impegnati dal 2012 anno in cui è partito il progetto di riorganizzazione e sviluppo di Versalis, presente in Italia con 8 siti produttivi e 5 all'estero, con una occupazione che si mantiene consolidata oltre i 4400 dipendenti in Italia e circa 1000 all'estero.
In particolare lo sviluppo di progetti di "chimica verde" e delle specialties a cui abbiamo attribuito grande valore ed importanza sul versante dell'innovazione industriale, hanno bisogno di maggior tempo per la loro realizzazione tecnologica e impiantistica e di riscontri di mercato per i nuovi prodotti che ne consentano la redditività: Porto Torres è un progetto ancora lontano dal dirsi completato, mentre a Priolo ed a Porto Marghera gli investimenti devono ancora partire.
Siamo dunque contrari ad una eventuale uscita di Eni dalla chimica, che - se confermata - riterremo sbagliata: questo piano industriale, che ha nella nuova struttura di ricerca il suo cuore innovativo e strategico, non può e non deve essere messo in discussione, deve essere portato a termine ed implementato da Eni.
Non intendiamo inoltre commentare l'elasticità sospetta del ministero dell'Ambiente nell'usare come una clava le autorizzazioni in modo sicuramente discrezionale. Molti siti del paese, sicuramente più efficienti, patiscono per un'autorizzazione che non arriva mai.
In ogni caso siamo di fronte, con la "chimica verde", ad un vero e proprio furto di futuro, e sul versante di quella tradizionale ad una genericità sugli investimenti necessari per ammodernare e rendere sicuri gli impianti. È un piano sbagliato che attraverso cessioni di quote ridisegna e sconvolge l'assetto produttivo del paese.
Sono questi i motivi per cui riteniamo sbagliata l'impostazione dell'Eni e chiediamo alla Presidenza del Consiglio ed al ministero dello Sviluppo Economico; alle Commissioni di merito dei due rami del Parlamento ed ai Presidenti delle Regioni interessate fino ai Sindaci, con i quali in questi anni ci siamo cimentati con importanti accordi sia di sviluppo e riconversione come di risanamento ambientale, di condividere le nostre preoccupazioni e chiedere all'Eni di cambiare le sue decisioni.
All'Eni chiediamo di impegnarsi di più per il paese, di aiutare e non di ostacolare un processo di crescita ancora incerto; di mantenere gli investimenti in Italia e di favorire, anche con il suo impegno, il rilancio dell'industria italiana. È compito anche suo, al pari di tanti grandi gruppi sovranazionali, aiutare il proprio paese a crescere.
Chiediamo infine alle istituzioni locali di superare pregiudizi sulle attività in esplorazione e ricerca degli idrocarburi per favorire l'autonomia dell'approvvigionamento nazionale e di consentire un maggior utilizzo del gas naturale in sostituzione dell'utilizzo di carbone ai fini di uno sviluppo sostenibile e di una maggior tutela dell'ambiente.
Segretari Generali
FILCTEM CGIL Emilio Miceli
FEMCA CISL Angelo Colombini
UILTEC UIL Paolo Pirani
(novembre 2015)