Mondo trivella. I vincoli burocratici riducono l’estrazione dai giacimenti italiani
L’industria petrolifera protesta per i limiti imposti dall’Italia all’uso delle risorse nazionali
Leader mondiale nelle perforazioni a basso impatto ambientale, ma anche il Paese più litigioso e burocratico. Così è stata descritta l’Italia all’Omc, la rassegna-conferenza sul petrolio che si è svolta la settimana scorsa a Ravenna. Di fronte a un livello unico di attenzione all'ambiente, in nessun Paese al mondo esiste il divieto di estrazione fino alle 12 miglia dalla costa. E nonostante le grandi potenzialità di idrocarburi, dall'Alto Adriatico alla Sicilia, dalla Basilicata all'Emilia Romagna e la spinta del Governo Renzi per il raddoppio della produzione interna, in linea con la Strategia Energetica Nazionale, le attività di ricerca offshore e onshore sono praticamente ferme. Nel 2014, la produzione nazionale di greggio è stata di 5,75 milioni di tonnellate, l'87% in terra di cui il 69% in Basilicata e il 16% in Sicilia, e il 13% in mare, pari al 5% in più rispetto al 2013; la produzione nazionale di gas è stata pari a 7,28 miliardi di metri cubi, 67% in mare e 33% in terra di cui il 20% in Basilicata, pari al 6% in meno rispetto al 2013.
È dal 2009 che non si perfora alcun pozzo esplorativo a mare e l'ultimo a terra è stato perforato nel 2013, come è evidenziato nel Rapporto annuale della direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche del ministero dello Sviluppo economico presentato all’Omc.
Un Paese che non investe nella ricerca è un Paese dove l'industria petrolifera, che oggi vanta un primato di eccellenze tecnologiche, rischia di non avere un futuro. È il grido di allarme lanciato a Ravenna dalle compagnie petrolifere presenti in Italia a fronte delle grandi potenzialità del settore. Non si arresta, invece, la ricerca per rendere sempre più sicure le attività che vede in prima linea lo Stato che opera in stretta collaborazione con l'Unione Europea.
"I nostri impianti sono tra i più sicuri al mondo", ha detto il direttore generale per le risorse minerarie ed energetiche del Ministero dello Sviluppo economico, Franco Terlizzese, nella sessione in cui è stato fatto il punto sulle regolamentazioni messe in atto dai paesi coinvolti in attività estrattive (Italia, Cipro, Croazia) con riferimento alla direttiva europea, per evitare il ripetersi di episodi come quello del Golfo del Messico.
"Insieme con le aziende petrolifere che operano nell'offshore - ha aggiunto Terlizzese - abbiamo promosso un sistema integrato di controllo degli impianti, delle strutture, delle condizioni ambientali in cui lavorano, per avere il punto zero della situazione di sicurezza e anche per quantificare come questa sicurezza aumenti in funzione degli interventi di miglioramento sugli impianti".
Tra le altre iniziative, un sistema integrato navale, aereo, satellitare per il monitoraggio giornaliero dello stato delle acque in Adriatico è stato messo a punto dal ministero dello Sviluppo economico, in coordinamento con il ministero dell'Ambiente per l'incremento della sicurezza nelle attività degli impianti offshore, in attuazione dell'art 35 del Dl 83 del 2012. "È uno dei fiori all'occhiello dell'Italia, che vede collaborare 10 tra enti di ricerca e Università che mettono a disposizione le loro eccellenze in un confronto con gli operatori, in collaborazione con il ministero, con la marina militare e le capitanerie di porto. È stata anche realizzata la prima mappatura completa della stratificazione dei fondali del Mediterraneo".
Le stesse procedure si stanno seguendo per la terraferma, dove gli interessi sono puntati sui giacimenti della Basilicata, i più grandi dell'Europa continentale, quello della Val d'Agri (Eni-Shell-Total) e di Tempa Rossa (Total-Shell-Mitsui). Dal punto di vista ambientale sono previsti i più elevati standard di valutazione, regole più stringenti e programmi di monitoraggio della sismicità, delle deformazioni del suolo e delle pressioni e di poro nel rispetto delle linee guida recentemente pubblicate.