Nonostante il referendum. Continua l’estrazione nella riserva naturale in Ecuador
Gli indigeni e gli ambientalisti si schierano per difendere il giacimento nello Yasuní contro la compagnia petrolifera e contro il presidente della Repubblica
Dopo il referendum che si è tenuto in Ecuador che ha sancito la cessazione dello sfruttamento petrolifero all’interno del parco nazionale di Yasuní nella foresta amazzonica, non sembra che il giacimento possa essere smantellato così facilmente, nonostante la volontà popolare. La compagnia petrolifera statale considera il termine ultimo per la cessazione, previsto per agosto, troppo ravvicinato e sta continuando a trivellare.
Che cos’è successo
Il campo, che si estende su una superficie di 9.820 chilometri quadrati, nelle province di Pastaza e Orellana nei territori compresi tra il fiume Napo e il fiume Curaray, sta lavorando su impulso della compagnia statale Petroecuador ignara delle proteste di organizzazioni indigene e ambientaliste che ne stanno chiedendo la chiusura. In una conferenza stampa davanti alla sede della Corte costituzionale dell’Ecuador, le organizzazioni ambientaliste — guidate dagli indigeni Waorani dell’Amazzonia ecuadoriana, in lotta da un decennio per preservare lo Yasuní — hanno criticato la recente creazione da parte del presidente della Repubblica, Daniel Noboa, di un comitato di incaricato di elaborare il piano di chiusura del Blocco 43-Itt, il giacimento sottostante il parco nazionale. La sentenza della Corte costituzionale ha posto la scadenza per procedere allo smantellamento del Blocco 43-Itt ad agosto del 2024, un termine che però i tecnici di Petroecuador considerano impraticabile.