Assobioplastiche contro lo studio CNR: un’operazione strumentale, solo dati parziali
L’industria delle bioplastiche contro CNR, che presenta i dati preliminari di uno studio a poche ore dal recepimento della direttiva UE sulle plastiche monouso
Un’operazione strumentale messa in atto nelle ore in cui si sta discutendo di una possibile via italiana al recepimento della Direttiva europea sulle plastiche monouso: così si esprime Assobioplastiche, dopo il comunicato del CNR intitolato significativamente “Anche le bioplastiche si degradano lentamente nell’ambiente”, che riprende i risultati di un esperimento condotto congiuntamente da Consiglio nazionale delle ricerche, coinvolto con l’Istituto dei processi chimico-fisici (Cnr-Ipcf) e l’Istituto di scienze marine (Cnr-Ismar), Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e Distretto ligure per le tecnologie marine (Dltm) e pubblicato sulla rivista Polymers, nel quale – rileva l’associazione - “vengono attaccate alcune categorie di bioplastiche, ma in realtà viene gettata un’ombra sull’intero settore”. Come è noto, sul punto vi sono tesi diverse e schieramenti opposti. Da una parte vi è chi ritiene che le bioplastiche possano costituire un possibile piano B considerate le specificità del nostro Paese, fermo restando che la riutilizzabilità resta sempre l’opzione preferibile. Dall’altra parte vi è, invece, chi le critica tout court.
Diffusione di dati che sono solo preliminari
Assobioplastiche si riserva ovviamente un più ampio e approfondito esame dello studio citato dal punto di vista tecnico, ma sin d’ora rileva tre lampanti singolarità. La prima è che i risultati dello studio vengono diffusi frettolosamente e prematuramente, ossia sulla base del primo campionamento, effettuato dopo soli sei mesi in un esperimento che dura tre anni. Si tratta, in buona sostanza, di risultati preliminari.
La degradazione delle bioplastiche: in che tempi?
La seconda singolarità è che, pur trattandosi di uno studio sui tempi di degradazione, questi tempi non vengono effettivamente misurati. L'articolo non risponde infatti alla domanda "Quali tempi di degradazione hanno le bioplastiche rispetto a quelle convenzionali?". Più specificamente, nello schema sperimentale della prova manca un elemento fondamentale per contestualizzare i risultati e dare un senso al termine “significativo” riferito a degradazione, “lungo” riferito a tempo e via dicendo: si tratta del pellet di materiale lignocellulosico, ossia un composito polimerico naturale che è necessario, come il metronomo con la musica, per dare significato alla durata, per calibrare l'esperimento e capire cosa significa “veloce” e “lento” in natura, al di là delle aspettative soggettive degli sperimentatori.
La valutazione del rischio non viene affrontato
La terza singolarità è che si parla di “rischi ambientali che l’utilizzo della bioplastica pone, se dispersa o non opportunamente conferita per lo smaltimento”, ma l’articolo pubblicato in Polymers non affronta in nessun modo il tema della valutazione del rischio. Si tratta di un tema importantissimo, che Assobioplastiche ritiene fondamentale nel momento in cui si cerca di porre in essere azioni di mitigazione dei danni legati al rilascio involontario in ambiente di articoli monouso ed imballaggi. L'articolo, tuttavia, non prende in esame nessuno dei parametri legati alla determinazione del rischio che, come noto, prevede la determinazione del pericolo e della concentrazione prevista in ambiente.