Castelli in Aria. Padani rassegnatevi, la pianura è una trappola che cattura gli inquinanti
Con la rubrica Castelli in Aria comincia la collaborazione di Daniele Vasilevski con e-gazette. Lo strato limite planetario e gli inquinanti che vi rimangono intrappolati
di Daniele Vasilevski
Ci risiamo, ogni inverno la stessa storia: “l’aria padana sempre più tossica”. Questa volta ci siamo superati però, e negli ultimi giorni è circolata su buona parte dei quotidiani nazionali la notizia secondo cui Milano sarebbe stata, nel giorno precedente la pubblicazione della notizia, la terza città per la peggiore qualità dell’aria al mondo.
Notizia allarmante, se non fosse basata su dati non scientifici di un rivenditore di purificatori d’aria. A questo aggiungeteci che basare una valutazione complessiva sulla qualità dell’aria di una città solamente sul particolato atmosferico risulta piuttosto parziale. Nonostante gli enormi miglioramenti della qualità dell’aria nel corso degli anni - grazie a scelte politiche vicine all’ambiente e al progresso tecnologico - la Valpadana rimane e rimarrà una trappola per gli agenti inquinanti. Questo accade per la sua conformazione geografica: una vasta pianura alluvionale circondata dai monti più alti d’Europa. In questo quadro “sfortunato” risiedono milioni di persone: è una delle aree con la densità abitativa più elevata d’Europa. Et voilà, ecco servito un aumento della concentrazione del particolato atmosferico ogni qualvolta nel periodo invernale ci ritroviamo sotto un forte anticiclone. In questi tiepidi giorni di fine febbraio oltre all’inquinamento “nostrano” s’è aggiunta una componente di polveri desertiche che hanno alzato i livelli di PM10 e reso il nostro cielo più giallastro, specialmente al tramonto.
Come si ripulisce quindi la trappola padana?
Non con le domeniche ecologiche o con le targhe alternate, misure che hanno un impatto nullo sulla concentrazione degli inquinanti. Nell’immediato ci si deve affidare al cambiamento del tempo atmosferico, alla pioggia. Un po’ bastone, con l’alta pressione, un po’ carota, con le precipitazioni.
Ma non esistono altre vie?
Sì, meno efficaci ed efficienti ma esistono. Parliamo del vento. Lo stesso vento che viene bloccato dalle alte montagne alle spalle della pianura alle volte riesce a passare provocando un ricambio dell’aria. Quando succede, la massa d’aria in ingresso interagisce con lo Strato Limite Planetario o Planetary Boundary Layer (PBL) per chi preferisce gli anglicismi. Lo Strato Limite (SL) non è altro che la parte più bassa della troposfera. La sua altezza varia in base al momento della giornata, alla stagione e alla conformazione geografica dell’area. È più alto in estate e più basso in inverno, più alto di giorno e più basso di notte, varia tra poche decine di metri e 2-3 chilometri di spessore dal suolo. Da questo strato non si scappa: gli inquinanti rimangono intrappolati al suo interno. In estate la turbolenza provocata dal riscaldamento indotto dal sole rimescola l’aria quindi il problema inquinamento viene meno; in inverno questo non accade perché il sole si trova molto basso sull’orizzonte anche a metà giornata e la sua influenza sul suolo è minima o nulla. È in questo quadro che diventa essenziale il vento se non intervengono le precipitazioni. Il rimescolamento dello Strato Limite l’abbiamo visto due volte in questo febbraio anticiclonico, prima ad ovest poi ad est.
A inizio mese, precisamente nei giorni 3 e 4, il favonio alpino era riuscito a sfondare sulla pianura piemontese facendo calare in tutta l’area i valori di inquinamento. Il favonio però non era riuscito a raggiungere tutta la Valpadana: procedendo verso est l’effetto di pulizia legato al vento era sempre meno evidente fino ad essere nullo sul Veneto.
Allo stesso modo abbiamo visto l’ingresso di un fronte freddo in quota sul nordest durante la prima mattina del 18 che è stato in grado di movimentare dall’alto al basso tutta la colonna sia sulle Alpi che sulla pianura veneta-friulana. La turbolenza provocata dall’ingresso freddo ha ampliato lo strato di aria in cui sono presenti le sostanze inquinanti e in tal modo ha aumentato lo spazio di movimento a disposizione delle stesse. Più aria con pari inquinamento significa minore concentrazione. E in questo caso è stato il centro-ovest della pianura a non avere un beneficio. Quasi sempre i benefici del vento sono locali a differenza della pioggia che abbatte gli inquinanti senza distinzioni regionali.
La questione inquinamento è molto complessa in Valpadana ed è molto semplice prendere decisioni inutili che possono sembrare sensate ad un occhio poco attento. L’attuale tasso d’inquinamento risulta essere solo una delle voci che possono minare il nostro benessere psico-fisico, certamente non la preponderante. Lo spazio di manovra in tal senso sta diminuendo: una analisi costi-benefici rispetto alle scelte risulta infatti fondamentale.
Attualmente la prima fonte di particolato di origine antropica sono i riscaldamenti, le tanto osteggiate auto hanno un ruolo minore. Uno svecchiamento degli impianti con una graduale elettrificazione dei consumi finali porterà un buon beneficio in tal senso. Lo svecchiamento del parco auto con l’elettrificazione di una parte di esso favorirà un calo degli ossidi di azoto, precursori dell’ozono (maggiore inquinante presente nel periodo estivo).
Purtroppo la soluzione immediata non esiste. Servono studio e programmazione e con i progressi fatti e in atto lo spazio di manovra si ridurrà sempre più.
L’importante è essere coscienti che in presenza di un anticiclone nei mesi invernali, l’aria di Milano come di tutta la pianura padana non potrà mai arrivare ai livelli di quella di Copenaghen o di una qualunque città del centro-ovest Europa.