Difesa del clima. L’Italia perde 15 posizioni nella classifica sulle performance climatiche
L’Italia scende al 44° posto nella graduatoria internazionale dei Paesi impegnati nella lotta al climate change, afferma il rapporto annuale Climate change performance index
Pessimi risultati dell’Italia nella lotta al cambiamento climatico: come riferisce Onu Italia, il giornale italiano delle Nazioni Unite, l’Italia perde 15 posizioni nel ranking mondiale delle performance climatiche secondo il Climate change performance index del Germanwatch, secondo il quale nessun Paese è al passo con l’obiettivo di riduzione delle emissioni per contenere l'aumento della temperatura entro 1,5°C. L’Italia scende al 44° posto nella classifica internazionale dei Paesi impegnati nella lotta al climate change afferma il Rapporto annuale di Germanwatch, Can e NewClimate Institute sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta. Per l’edizione italiana ha collaborato la Legambiente.
La performance viene misurata, attraverso il Climate change performance index (Ccpi), utilizzando come parametri gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti per il 2030. Il Ccpi viene stimato per il 40% sugli andamenti delle emissioni, per il 20% sulla crescita sia delle rinnovabili che dell’efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.
In particolare l’Italia occupa solo il 37° posto nella riduzione delle emissioni di gas serra ma soprattutto si posiziona solo al 58° posto per la politica sul clima. Il costo della transizione ritardata potrebbe raggiungere i 17,5 trilioni di euro nell’arco di 30 anni, pari al 14,5% del Pil.
La graduatoria
Come spiega Onu Italia, il rapporto valuta le performance climatiche di 63 Paesi, oltre all’Unione europea, che rappresentano più del 90% delle emissioni globali e nessun Paese ha raggiunto le performance richieste per contribuire efficacemente a fronteggiare l’emergenza climatica e contenere l’aumento della temperatura entro la soglia critica di 1,5°C, pertanto le prime tre posizioni della classifica non sono state assegnate.
Al quarto posto troviamo quindi la Danimarca grazie alla significativa riduzione delle emissioni climalteranti e allo sviluppo delle rinnovabili, seguita dall’Estonia (quinta) e dalle Filippine (sesta), entrambe impegnate nell’azione climatica nonostante le difficoltà economiche. Ai gradini più bassi della classifica si trovano i Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come gli Emirati arabi uniti (65), l’Iran (66) e l’Arabia saudita (67).
La Cina, principale responsabile delle emissioni annuali globali, mantiene la sua posizione al 51esimo posto rispetto all’anno precedente. Nonostante lo sviluppo delle rinnovabili e il miglioramento dell’efficienza energetica, le emissioni cinesi continuano infatti a crescere a causa dell’uso massiccio del carbone. Gli Stati Uniti, il secondo maggiore emettitore globale, retrocedono al 57esimo posto registrando un peggioramento di cinque posizioni rispetto all’anno precedente, principalmente per la scarsa attuazione delle misure previste dall’Inflation reduction act (Ira). Gli Stati Uniti sono tra i 20 Paesi con le maggiori riserve sviluppate di petrolio e gas, e sono tra i nove Paesi responsabili del 90% della produzione globale di carbone. Inoltre, prevedono di aumentare la produzione di gas e carbone entro il 2030: ciò non è compatibile con l’obiettivo di 1,5°C.
Infine, solo tre membri del G20 – India (settima), Germania (14esima) e Unione europea (16esima) – si posizionano nella parte alta della classifica. La maggioranza, infatti, si colloca nella parte bassa con Canada (62esima), Russia (63esima), Sud Corea (64esima) e Arabia Saudita (67esima) tra quelli che detengono le performance climatiche più deboli.
Il rapporto Climate change performance index (Ccpi): https://ccpi.org
L’analisi di Germanwatch: https://www.germanwatch.org/en/89895
Leggi Onu Italia: https://www.onuitalia.com