Dopo la Cop26. Tagli di emissioni, obiettivi, confermato il contenimento a 1,5 °C. I soddisfatti e i delusi
Che cos’è accaduto al summit sul clima. La sintesi dell’intesa finale e i retroscena del negoziato. L’Italia contro gas e petrolio. I commenti di Muroni, Ronchi, Wwf. Studi e ricerche
Questo mezzo pieno e mezzo vuoto è il migliore dei mondi possibili, e nel “possibili” c’è tutto il pessimismo del risultato importante e al tempo stesso modesto conseguito alla Cop26 di Glasgow, il summit sul clima organizzato dall’Un Fccc dell’Onu. Come in tutte le precedenti 25 Cop, non si è arrivati alla soluzione definitiva, ma i passi in avanti ci sono stati. Il Glasgow Climate Pact, approvato in chiusura della Cop26 da più di 190 Paesi, ha messo nero su bianco per la prima volta l’obiettivo di un taglio del 45% delle emissioni serra rispetto al 2010 da raggiungere entro il 2030 per fermare il riscaldamento globale a 1,5 °C.
Glasgow ha segnato un punto e passa la palla: ora tocca ai governi fare leggi e norme coerenti con gli impegni presi.
Il mandato della precedente Cop25 di Madrid era arrivare a Glasgow con gli impegni volontari dei singoli Stati aggiornati e in linea con i nuovi obiettivi climatici. Ma i nuovi piani nazionali presentati dai Governi di tutto il mondo sembrano inadeguati, non raggiungendo il risultato indicato a Madrid; come riportato dallo stesso documento, con le misure previste dai Governi, anziché diminuire, tra il 2010 e il 2030 le emissioni crescerebbero del 13,7%. Crescita, non diminuzione. Facendo una banale somma si scopre che per fare i compiti a casa i governi devono tagliare – rispetto all’andamento attuale – quasi il 60% delle emissioni che, in assenza di interventi, avverrebbero tra 9 anni. Su questo dato ha pesato certamente l’atteggiamento della Cina, di gran lunga il primo Paese emettitore al mondo, che non ha voluto sottoscrivere tagli alle proprie emissioni prima del 2030. Il colpo di mano guidato da Cina e India ha suscitato forti proteste da parte degli Stati formati da arcipelaghi a pelo d’acqua, della Svizzera e dell’Unione europea. Ma è stato grazie a questo compromesso che si è salvata la struttura di un accordo che fa fare al processo di fuoriuscita dall’economia dei fossili un passo avanti di una certa consistenza. Per questo la Cop26 ha deciso di fare, a partire dal prossimo anno, un incontro di alto livello annuale per allineare i piani operativi dei governi e gli obiettivi sottoscritti dagli stessi governi. Nel testo finale il passaggio in cui alcuni Paesi sollecitavano l’eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili è stato annacquato due volte, prima aggiungendo l’aggettivo “inefficienti” e poi cambiando “eliminazione” con “rallentamento”. Cina e Usa, nel frattempo, hanno annunciato di aver concordato con gli Stati Uniti di aumentare la collaborazione sul cambiamento climatico. Hanno annunciato il raddoppiamento degli sforzi congiunti per ridurre i gas serra, invocando una "azione climatica più forte negli anni '20" sulle linee guida di Pari, anche sulla riduzione delle emissioni da metano. L'omologo statunitense, John Kerry, ha commentato: "Con questo annuncio abbiamo fatto un nuovo passo" avanti, "collaborare è un imperativo". A questo punto, la Cop passa di nuovo mano, e il mandato di Madrid passato per Glasgow arriverà il prossimo anno a Sharm El-Sheikh dove si terrà la Cop27.
L’Italia aderisce alla Boga oltre gas e petrolio
L'Italia aderisce all’alleanza Boga (Beyond Oil and Gas Initiative), che prevede lo stop ai finanziamenti per il fossile. L'annuncio è arrivato dal ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani. "L'Italia è persino più avanti. Siamo molto avanti sul phase out del carbone e sul gas abbiamo le idee chiare: abbiamo il più grande programma di rinnovabili al momento scritto che prevede 70 miliardi di watt in più di impianti rinnovabili nei prossimi 9 anni. Il nostro obiettivo è arrivare al 2030 al 70% di energia elettrica rinnovabile", ha detto Cingolani. La Boga, lanciata da Danimarca e Costa Rica, vede l'adesione piena di Francia, Groenlandia, Irlanda, stato canadese del Quebec, Svezia e Galles. California e Nuova Zelanda aderiscono come membri "associati", l'Italia come membro "amico".
L'alleanza, si legge nel comunicato di presentazione, "mette insieme paesi e stati subnazionali che si sono impegnati a porre fine a nuove concessioni di licenze per esplorazione e produzione di petrolio e gas, o hanno fatto passi verso quell'obiettivo, e riconosce che porre fine all'estrazione di combustibili fossili è una componente urgente e cruciale nell'affrontare la crisi climatica".
Parola ad Edo Ronchi
“È un gap pesante e richiede che ogni Paese faccia con cura i suoi conti”, spiega Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e promotore di Italy for Climate. “Questo è il decennio chiave, non c’è più un giorno da perdere. L’Italia ha ridotto le emissioni di circa il 20% tra il 1990 e oggi. Tra oggi e il 2030, in nove anni, ci aspetta un taglio decisamente superiore. Per questo il 2 dicembre come Italy for Climate abbiamo convocato una conferenza nazionale sul clima e chiediamo che sia varata anche in Italia una legge per la protezione del clima”.
Parola a Rossella Muroni
Dice la deputata FacciamoECO Rossella Muroni: “Più che l’India o la Cina deludono i Paesi sviluppati, responsabili storici dell’inquinamento, che ancora non sono riusciti a mettere sul tavolo quei 100 miliardi di dollari all'anno per aiutare la transizione energetica e l'adattamento dei Paesi in via di sviluppo e a basso reddito. Una promessa fatta nel 2009 che dal 2020 si sarebbe dovuta tradurre in stanziamenti effettivi e che il Patto di Glasgow esorta a raddoppiare entro il 2025. Si poteva e si doveva fare di più”.
Il parere del Wwf
“Il Wwf riconosce che alcuni progressi sono stati fatti. Ora i Paesi hanno nuove opportunità per realizzare ciò che sanno che deve essere fatto per evitare la catastrofe climatica. Ma se non faranno leva sull'attuazione concreta dell’azione per il clima e non mostreranno risultati sostanziali, la loro credibilità sarà sempre a rischio”.
I retroscena del negoziato
Il dibattito sull'uso del carbone e all'eliminazione progressiva dei sussidi ai combustibili fossili ha avuto limature, cambiamenti e sospensioni. La precedente bozza chiedeva ai Paesi di "accelerare l'eliminazione graduale del carbone e dei sussidi per i combustibili fossili". L'ultima versione, invece, invitava ad accelerare "l'eliminazione graduale dell'energia a carbone senza sosta e dei sussidi inefficienti per i combustibili fossili". La versione finale della dichiarazione "invita" i paesi a rivedere e rafforzare i loro piani di riduzione delle emissioni per il 2030 e ad allinearli con l'obiettivo di temperatura dell'Accordo di Parigi, un linguaggio più forte rispetto alla prima versione della bozza che "esortava" i paesi a farlo. La nuova bozza include anche una scadenza del 2025 per i paesi sviluppati di raddoppiare i finanziamenti per aiutare le nazioni più povere e vulnerabili ad adattarsi agli impatti del cambiamento climatico di cui non sono i principali responsabili.
Uno studio Ericsson, decarbonizzare con il 5G
L’Ericsson ha presentato alla Cop26 un nuovo studio attraverso il quale si analizza come il 5G può contribuire alla decarbonizzazione dell’economia europea da qui al 2030. Punto di partenza del report è una precedente analisi di McKinsey, “Net-Zero Europe”, nella quale si stima che la connettività (fissa e mobile) può ridurre le emissioni di carbonio europee del 15% entro il 2030. Secondo il nuovo studio di Ericsson, l'implementazione della tecnologia 5G in quattro settori ad alta intensità di carbonio - energia, trasporto, manifatturiero ed edilizia - potrebbe assicurare un risparmio di emissioni tra i 55 e i 170 milioni di tonnellate di CO2e l'anno, che equivale a togliere dalle strade dell’Unione Europea un’auto su sette, quindi oltre 35 milioni di veicoli. In altri termini, con il 5G la riduzione totale delle emissioni arriverebbe al 20% (dal 15%) delle emissioni annuali totali dell'Ue.
Una ricerca della Cattolica: salvare i beni culturali dai cambiamenti climatici
In un Paese dotato di un inestimabile patrimonio come l’Italia, anche le opere d’arte e di cultura rischiano di rientrare tra le “vittime” degli estremi climatici che flagellano sempre più spesso la Penisola, sempre più esposte a pericoli naturali correlati al cambiamento climatico come alluvioni, allagamenti urbani, dissesti idrogeologici, valanghe o incendi boschivi. Come proteggerli? Un gruppo di ricerca dell’Università Cattolica, nell’ambito del programma europeo Alpine Space, ha elaborato un piano dettagliato per prevenire e per gestire questo tipo di emergenze. Il lavoro dell’équipe di ricerca è consistito innanzitutto nell'individuare i siti più esposti al rischio di esondazione del fiume Adige: nella sola città di Trento sono stati conteggiati 507 beni culturali soggetti a vincolo, 19 archivi e biblioteche che effettuano attività di conservazione e 11 musei. Conclusa questa fase, l’obiettivo è stato di costruire un metodo di valutazione delle priorità di intervento, di definire le azioni di mitigazione degli effetti di danno, di quantificare tempi e risorse necessari. Il rapporto dettagliato (disponibile e consultabile) mette a disposizione di decisori e portatori di interesse un modello di analisi e pianificazione che possa essere utilmente sviluppato in futuro, in Trentino e non solo.