L’economia dell’ambiente. L’incomunicabilità tra imprese e tassonomia Ue
Il rapporto di O-Fire sulla finanza sostenibile solleva il tema dell’asimmetria informativa che compromette il grado di adeguamento
C’è un forte disallineamento tra i dati Esg forniti dall’industria europea e i parametri indicati dalla tassonomia europea (la classificazione introdotta nel 2020 nel contesto del piano d’azione per la finanza sostenibile dell’Unione Europea) per individuare le attività economiche eco-sostenibili del vecchio continente e accelerarne la transizione ecologica al fine di raggiungere gli obiettivi clima-energia. È il messaggio lanciato dal primo rapporto annuale di O-Fire, (“Osservatorio sulla finanza d’impatto e sue ricadute economiche”), l’osservatorio sulla finanza sostenibile lanciato un anno fa dall’università di Milano-Bicocca insieme a Banca Generali e Aifi-Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt. Dal titolo “Simplified reading of the European taxonomy and first assessment of its implications”, il Rapporto è stato presentato all’auditorium Martinotti dell’università di Milano-Bicocca.
Nel rapporto, i ricercatori partono dallo stato di attuazione della tassonomia e dall’attuale contesto economico, ambientale ed energetico, per valutarne il possibile impatto e le criticità. I ricercatori dell’osservatorio hanno estratto un campione di aziende europee di grandi dimensioni (1.391 con fatturato complessivo di 10mila miliardi di dollari), per le quali sono disponibili oltre 800 variabili Esg di cui 370 relative all'ambiente (per esempio le emissioni, l’impronta di carbonio, le fonti rinnovabili, l’efficienza energetica, i consumi di acqua, la biodiversità e l’uso del suolo). Tuttavia, quello che i ricercatori hanno riscontrato è stato un disallineamento tra queste variabili e quelle contenute nei criteri di vaglio tecnico della tassonomia, quei criteri che identificano le attività sostenibili, in grado quindi di dare un contributo sostanziale alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici. “Non si tratta degli stessi parametri – puntualizzano i ricercatori di O-Fire – ,oppure si tratta degli stessi, ma il grado di dettaglio non è paragonabile a quello richiesto dalla tassonomia”.
Se le variabili disponibili nel database consentono di stabilire, per esempio, quante aziende europee hanno implementato negli ultimi due anni un programma definito di efficienza energetica o hanno fissato dei target di abbattimento delle emissioni, non rendono tuttavia possibile quantificare la percentuale di imprese che possano ritenersi allineate con la tassonomia. “Considerando che i dati divulgati dalle aziende non sono sovrapponibili a quelli contemplati nella tassonomia e richiesti dalla nuova direttiva Csrd (Corporate Sustainability Reporting Directive) – aggiungono i ricercatori – , verrebbe da dire che nessuno oggi può considerarsi allineato con la tassonomia, né con i conseguenti obblighi di rendicontazione non finanziaria. C’è un grande divario da colmare, che richiede uno sforzo considerevole da parte dei destinatari della tassonomia, sia di tipo comunicativo, sul fronte delle attività di rendicontazione e reporting non finanziario d’impresa, sia di tipo economico-finanziario, legato agli investimenti necessari affinché le attività economiche possano considerarsi sostenibili secondo i criteri del regolamento europeo”.
L’analisi contenuta nel Rapporto ha evidenziato una maggiore resilienza degli investimenti sostenibili rispetto al mercato e una certa correlazione tra le performance ambientali e quelle finanziarie delle imprese, in particolare quelle energetiche. Dall’analisi di diverse fonti (Morningstar, Bloomberg e Ocse), l’Osservatorio ha rilevato come nel terzo trimestre del 2022 i fondi sostenibili abbiano avuto afflussi netti per 23 miliardi di dollari contro i 35 del trimestre precedente e i circa 80 del primo trimestre; gli investimenti convenzionali (fondi del mercato generalizzato), invece, hanno subito deflussi pari a circa 280 miliardi nel secondo trimestre e 200 miliardi nel terzo. I fondi sostenibili si sono mostrati dunque più resilienti alla crisi economica in atto.