Eterno Eternit. Nuovo processo, l’industriale Schmidheiny condannato a 12 anni
Nuova, ennesima sentenza sulla contrastata vicenda dello stabilimento di Casale Monferrato (Alessandria) che produceva fibrocemento finché non ne venne accertata la pericolosità
Nuova, ennesima sentenza sulla contrastata vicenda dell’Eternit di Casale Monferrato (Alessandria), lo stabilimento che dai primi del ‘900 fino agli anni ’80 produceva fibrocemento con amianto. L’Eternit venne acquisita dal gruppo Schmidheiny negli anni ’70 subito prima che venisse accertata la correlazione fra l’esposizione all’amianto e il mesotelioma pleurico, un tumore polmonare che non lascia scampo. Poco dopo la scoperta della pericolosità del minerale, lo stabilimento venne chiuso.
La condanna
Nei giorni scorsi l’industriale svizzero Stephan Schmidheiny è stato condannato a 12 anni di carcere per le morti legate all’amianto; il reato è stato derubricato da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio colposo. Questa la sentenza in Corte d’Assise a Novara del processo Eternit bis per la morte di 392 persone vittime dell’esposizione al minerale nel territorio di Casale Monferrato. Schmidheiny è stato condannato anche a pagare 50 milioni di euro di risarcimento al Comune di Casale, 30 milioni allo Stato italiano e centinaia di milioni ai familiari delle vittime.
Che cos’è l’amianto
L’amianto è una particolare forma minerale del silicio, conformato in lunghissime fibre. Filabile per produrre tessuti resistenti alle fiamme, inerte al fuoco, questo minerale è stato usato per un secolo in moltissime applicazioni. Fra queste, la produzione dell’amianto-cemento. Fino agli anni ’70 c’era consapevolezza che l’esposizione ad amianto causasse solamente silicosi, una malattia professionale molto invalidante, ma non si sapeva ancora del mesotelioma pleurico.
La vicenda giudiziaria
Nel 2009 si aprì a Torino un primo processo contro Schmidheiny e contro uno dei direttori dello stabilimento di Casale, Louis De Cartier de Marchienne. Il 13 febbraio 2012 il Tribunale di Torino condannò in primo grado De Cartier e Schmidheiny a 16 anni di reclusione per "disastro ambientale doloso permanente" e per "omissione volontaria di cautele antinfortunistiche", obbligandoli a risarcire circa tremila parti civili.
Un anno dopo, il 3 giugno 2013 la pena viene parzialmente riformata in appello e aumentata a diciotto anni. La Corte d'Appello di Torino aveva inoltre disposto il risarcimento alla Regione Piemonte di 20 milioni di euro e di 30,9 milioni di euro per il comune di Casale Monferrato.
Il 19 novembre 2014 la Corte suprema di cassazione dichiarò prescritto il reato di disastro ambientale, annullando le condanne e i risarcimenti in favore delle parti civili.
La nuova sentenza
Nei confronti dell’imprenditore svizzero i pubblici ministeri Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare avevano chiesto l’ergastolo. Gli avvocati della difesa, Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva, avevano chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste per mancanza di prova sul nesso di causalità, e in seconda battuta perché il fatto, avvenuto quando non si sapeva della pericolosità del minerale, non costituisce reato.
Il commento del sindaco
Il sindaco di Casale Monferrato Federico Riboldi ha commentato la sentenza: “Siamo parzialmente soddisfatti. È stato messo un punto chiaro. Non so se i familiari delle vittime avranno i risarcimenti. Certo è che si è stabilito che chi poteva intervenire sapeva e non l’ha fatto. La condanna a 12 anni di carcere non soddisfa appieno la sete di giustizia di un territorio e di una comunità che dopo anni continua a soffrire a causa delle conseguenze di quelle azioni commesse da chi ha anche avuto la responsabilità di fuggire da Casale abbandonando uno stabilimento nel territorio cittadino che era una vera e propria bomba nociva per la salute”.