Microplastica in mare. Da tessuti e vernici: studi allarmanti dall’Artico e dall’Australia
Record di microplastiche negli animali marini e nei sedimenti del fondo. Le particelle vengono da abiti, fibre delle reti da pesca e pitture protettive degli scafi delle navi
Sono stati resi noti in questi giorni due studi sulla plastica (soprattutto di origine tessile) trovata negli organismi e nei sedimenti del mare. Uno studio è del tedesco Awi Alfred Wegener Institut, l’altro è del centro ricerche australiano Csiro.
Nell’Artico - È record per la quantità di microplastica trovata nel mar glaciale Artico. Fino a 12mila fibre minuscole (anche un sesto del diametro di un capello), di 17 tipi diversi, sono state rilevate in un litro di ghiaccio marino da ricercatori dell'Istituto Alfred Wegener per la ricerca polare e marina, secondo cui è una quantità molto superiore a quanto trovato in passato.
Il team di ricercatori ha raccolto i campioni di ghiaccio durante tre spedizioni nell'Oceano Artico a bordo del rompighiaccio Polarstern nella primavera del 2014 e nell'estate 2015; dallo studio - pubblicato sulla rivista Nature Communications - è emerso che la metà delle microplastiche era composta da sei tipi di materiali: polietilene e polipropilene soprattutto da tessuti e fibre, vernici antivegetative marine, fibre di nailon, poliestere e acetato di cellulosa (principalmente utilizzato nella produzione di filtri per sigarette).
Queste particelle avrebbero origine dall'isola di plastica nell'Oceano Pacifico (l'enorme accumulo di spazzatura galleggiante), da vernice e nylon provenienti rispettivamente delle navi e dalle reti per la pesca nei vicini mari della Siberia, dal progressivo deterioramento di pezzi di plastica più grandi, dal riciclo di tessuti sintetici o dall'abrasione di pneumatici di automobili, che galleggiano nell'aria come polvere e poi sono trasportati nell'oceano dal vento oppure attraverso le reti fognarie.
Queste minuscole particelle possono essere larghe meno di un ventesimo di millimetro e quindi "facilmente ingerite da microrganismi artici" spiega il biologo e primo autore della ricerca Ilka Peeken. "Sono spesso colonizzate da batteri e alghe, che le rendono via via più pesanti, il che le fa scivolare verso il fondo marino molto più velocemente", aggiunge la biologa dell'Awi e coautrice dello studio Melanie Bergmann indicando che nello stretto di Fram (tra le isole Svalbard e la Groenlandia, dove il ghiaccio si scioglie) "recentemente abbiamo registrato concentrazioni di microplastiche fino a 6.500 particelle per chilogrammo di fondo marino, valori estremamente elevati".
L’Australia - L'ultima scoperta sulla microplastica che inquina i sedimenti dei fondali marini, a 2000 metri di profondità, si deve ai ricercatori dell'ente nazionale australiano di ricerca Csiro che l'hanno rilevata nel Great Australian Bight, la Grande Baia che delimita al sud gli stati del South Australia e del Western Australia.
Gli studiosi ne hanno trovato i frammenti mentre analizzavano campioni prelevati a centinaia di chilometri dalla costa in uno degli ambienti marini più preziosi per la biodiversità e più isolati d'Australia. Un ulteriore campanello d'allarme sulla pervasività delle microplastiche, spesso ingerite dai pesci che finiscono così nei nostri piatti. Secondo i ricercatori dell'ente nazionale australiano di ricerca Csiro, i frammenti venivano da campioni prelevati a centinaia di chilometri dalla costa in uno degli ambienti marini più preziosi per la biodiversità e più isolati d'Australia. Secondo ambientalisti e scienziati, il rinvenimento dovrebbe servire da campanello d'allarme ai governi e alle grandi compagnie per ridurre l'uso della plastica e per "legiferare e incentivare" in modo da affrontare il sempre più grave problema della plastica negli oceani.
Per Denise Hardesty, che ha guidato l'analisi dei sedimenti al Csiro la scoperta "rivela quanto onnipresente sia la plastica nel nostro ambiente. Dovunque ormai gli organismi, anche in queste aree più isolate, vi entrano in contatto".
I sedimenti sono stati analizzati usando una tintura rossa che rende fluorescente la plastica sotto una luce speciale. I frammenti individuati avevano una larghezza di almeno 10 micrometri, lo spessore della lana più fina.
Gli studiosi stanno ora conducendo ulteriori analisi e preparano una relazione da presentare a una rivista scientifica.
La ricerca dell’Alfred Wegener Institut la trovi qui