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Com’è profondo il mare. Così Ispra&C. hanno liberato dalle reti disperse il fondo del mare siciliano

where Siracusa when Lun, 27/01/2025 who roberto

Strappate dagli scogli o perse dai pescherecci, le reti vaganti continuano per anni a fare strage di animali marini. 60mila metri quadrati di fondale ispezionati, centinaia quelli finalmente liberati da reti lunghe fino a 260 metri che tornano a respirare e a ripopolarsi; liberate specie protette rimaste intrappolate

Ben 60mila metri quadratighostnets-ispra_0.jpg di fondale marino ispezionati, oltre 30 reti fantasma lunghe fino a 260 metri (pari all’incirca a un grattacielo di 100 piani) recuperate a una profondità di 40-60 metri e centinaia i metri quadrati di fondale finalmente liberati: è il risultato dell’operazione Ghostnets condotta da Ispra lungo la costa siciliana, tra Augusta e Siracusa. L’intervento, parte del progetto Mer (Marine Ecosystem Restoration) finanziato dal Pnrr, è stato realizzato con il sostegno della Ghostnets (Castalia, Conisma e Marevivo) e ha permesso di recuperare varie tipologie di reti strappate e rimaste intrappolate tra le rocce: a strascico, da posta, grovigli di cime, lenze e nasse e di liberare specie protette rimaste intrappolate. Con questa operazione, centinaia di metri quadrati di habitat pregiati potranno gradualmente tornare a respirare e favorire la ricolonizzazione da parte delle specie marine circostanti.
“Questa campagna di recupero è un grande passo avanti per la tutela dei nostri mari - spiegano i ricercatori di Ispra - ma rimane fondamentale promuovere una maggiore consapevolezza tra gli operatori del settore e continuare a investire in tecnologie e politiche di prevenzione”.
Tutto questo è stato reso possibile dalla Legge 60/2022 “Salva Mare” che ha qualificato le reti abbandonate e recuperate come rifiuti urbani da riciclare o smaltire.
 
L’impatto delle reti abbandonate
La diffusione di reti da pesca abbandonate (in siglia: aldfg – abandoned, lost or discarded fishing gear) è cresciuta negli ultimi decenni a causa dell’intensificarsi dell’attività di pesca e dell’impiego di materiali sintetici, più economici e resistenti ma anche più dannosi per l’ambiente rispetto alle fibre vegetali utilizzate per reti tradizionali, come la canapa. Queste reti continuano a esercitare la cosiddetta pesca fantasma, pur non essendo più sottoposte al controllo umano, restano attive e continuano a catturare flora e fauna marina.
In particolare, i danni provocati dalle reti riguardano:
Praterie di posidonia oceanica: subiscono danni fisici, come ombreggiamento e abrasione, che uccidono o sradicano le piante.
Coralligeno: le specie sessili vengono strappate, spezzate, ricoperte e abrase, subendo gravi ripercussioni.
Fauna marina vagile: rimane intrappolata o ferita dalle reti, che continuano la loro azione di cattura anche dopo aver perso ogni controllo. 
Le operazioni sul campo
Dopo una fase preliminare di ricognizione, che ha permesso di mappare e caratterizzare i fondali con strumentazione specializzata (multibeam per la batimetria, side scan sonar per l’individuazione di oggetti sommersi e rov per la raccolta di immagini e dati in tempo reale), sono stati ispezionati circa 60mila m² di fondale. L’intervento in acqua è stato eseguito da ots (operatori tecnici subacquei), affiancati da due imbarcazioni per il recupero e lo stoccaggio delle reti.
Gli ots si immergono tramite una “stage” o “gabbia” collegata alla nave di aiuto e restano costantemente in contatto con la superficie attraverso un “cordone ombelicale” multifunzione (fornisce aria o miscele respiratorie, comunicazioni audio video e assistenza). Localizzate le reti, gli operatori le sganciano dal fondale, tagliandole se necessario in sezioni maneggevoli, per poi fissarle a cavi o sagole che consentono di sollevarle con un verricello fino in superficie.
 
Tecnologia e lavoro di squadra
L’operazione è stata condotta utilizzando strumenti tecnologici avanzati: multibeam per mappare il fondale e individuare le reti; side scan sonar per una scansione dettagliata degli oggetti sommersi; rov (remotely operated vehicle) per monitorare e raccogliere dati in tempo reale.
Sul campo, gli operatori tecnici subacquei (ots) hanno operato in sicurezza, utilizzando un sistema di sollevamento con verricelli per recuperare le reti, garantendo la conservazione degli habitat sottostanti e minimizzando l’impatto sugli organismi rimasti intrappolati, come ceranti (anemoni cilindriche), ricci diadema, magnose (simili ad aragoste “schiacciate”) e madrepore a grappolo, tutte specie protette. Prima dell’avvio della rimozione, sono state liberate anche alcune cernie brune.
Portate a bordo le reti, si è proceduto a un setaccio meticoloso per consentire la fuoriuscita di esemplari di ricci matita, stelle marine, piccoli scorfani, ricci di prateria e svariati crostacei, salvaguardando così il maggior numero possibile di organismi marini.
 
Verso l’economia circolare
Le reti recuperate verranno ora trasportate per lo smaltimento e, dove possibile, avviate al riciclo, contribuendo a promuovere l’economia circolare e riducendo l’impatto ambientale dei rifiuti marini.

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