Inchiesta su Saipem per corruzione in Algeria. Indagato l’ad Scaroni
I pm Fabio De Pasquale, Sergio Spadaro e Giordano Baggio, che lavorano all'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco e condotta dal nucleo di polizia tributaria della Gdf milanese, ipotizzano una maxi-tangente di circa 200 milioni di euro
L'inchiesta milanese per corruzione internazionale in Algeria che vede coinvolta Saipem, già nell'occhio del ciclone nei giorni scorsi per l'allarme sugli utili e per un presunto insider trading, va a toccare anche l'Eni e coinvolge l'ad del colosso, Paolo Scaroni, indagato, insieme ad altri sette dirigenti ed ex dirigenti del gruppo, e destinatario di un decreto di perquisizione nei suoi uffici e anche nella sua casa milanese, con la Guardia di Finanza arrivata a setacciare anche le sue e-mail. “Siamo totalmente estranei”, ha spiegato all'Ansa Scaroni; una nota del gruppo ha ribadito la totale estraneità “alle vicende oggetto di indagine”, precisando che “continuerà a fornire la massima cooperazione alla magistratura”.
I pm Fabio De Pasquale, Sergio Spadaro e Giordano Baggio, nell'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco e condotta dal nucleo di polizia tributaria della Gdf milanese, sono convinti di aver individuato, come emerge dal decreto, una maxi-tangente da poco meno di 200 milioni di euro (per la precisione “197.934.798 euro) pagata dal gruppo Eni “a faccendieri, esponenti del governo algerino e di Sonatrach”, l'ente dello stato africano che in cambio avrebbe assegnato appalti su gas e idrocarburi per “11 miliardi di dollari”. Gli inquirenti sottolineano l’ “ingente dimensione economica della vicenda corruttiva”.
La responsabilità di Scaroni (indagato per ''corruzione di pubblici ufficiali stranieri'', mentre Eni e Saipem rispondono per la legge 231 del 2001), secondo quanto si legge nel decreto, starebbe in un incontro da lui avuto con un intermediario, il presunto collettore delle mazzette. Scaroni, sempre secondo l'atto dei pm, avrebbe incontrato “presso un albergo di Parigi” Farid Bedjaoui, algerino di nazionalità francese, “nipote dell'ex ministro degli Esteri'' algerino. Con loro sarebbe stato presente anche il “Ministro Khelil (l’allora titolare del dicastero algerino dell'Energia, ndr)” e il “responsabile Eni per il Nordafrica Antonio Vella”, anche lui indagato, come Pietro Varone, direttore dell'area engineering di Saipem, Alessandro Bernini, ex direttore finanziario della società, e Pietro Tali, ex ad. Gli ultimi due hanno rassegnato le dimissioni dopo aver ricevuto avvisi di garanzia nelle scorse settimane.
L'incontro di Parigi, secondo i pm, “era finalizzato ad ottenere un'ulteriore commessa per aumentare la reddittività del giacimento di Menzel Ledjemet Est (Mle)”.
Due, infatti, i progetti in Algeria sotto la lente degli investigatori: Mle appunto, costituito da una joint venture tra Sonatrach e Fcp, società “posseduta al 99,9% da Eni Spa”, e Medgaz della jointventure Medgaz Sa “formata da Sonatrach e altre società petrolifere”.
Otto in tutto le “commesse” assegnate per i due progetti a Saipem, tra il 2007 e il 2009, e attorno alle quali sarebbero circolate, dalla “fine del 2006 fino al 2 marzo 2010”, mazzette per quasi 200 milioni di euro passate attraverso una società di Hong Kong, la Pearl Partners Ltd, riconducibile all'intermediario algerino. Soldi che, sempre stando al decreto, avrebbero viaggiato su conti a Zurigo, negli Emirati Arabi e a Dubai. Dal decreto di perquisizione emerge, inoltre, che i rapporti con la società, presunta collettrice delle tangenti, sarebbero stati tenuti da Varone e Bernini.
“Nel corso del 2007 - ha spiegato una fonte ai magistrati - ho saputo da Varone che si sarebbe incontrato a Parigi con Khelil”. La fonte parla di “non meno di cinque” incontri. Tra l'altro, l'intermediario Bedjaoui avrebbe effettuato “versamenti” a favore “di un'azienda agricola” dello stesso Varone. Gli inquirenti, infine, sarebbero alla ricerca di altre presunte tangenti: nel decreto si parla, infatti, anche di “ulteriori versamenti corruttivi” che sarebbero stati corrisposti da “subcontrattisti di Saipem” e “decisi nel corso di riunioni presso un albergo di Milano”.