I pescatori non dovranno più pagare per i rifiuti raccolti in mare
L’assessore Bugli: "L’Unione europea fa proprio nostro progetto: il Governo la segua"
L'Europa fa propria l'idea toscana sui rifiuti in mare. "Siamo contenti che il nostro impegno sia servito da modello" commenta l'assessore alla presidenza della Toscana, Vittorio Bugli. Da oggi, infatti, i pescatori che portano a terra i rifiuti finiti accidentalmente nelle loro reti non ne diventano più automaticamente produttori e non sono più costretti a scegliere se ributtarli in mare per non assumersene la responsabilità e i costi di smaltimento. Lo potranno fare senza rischi, contribuendo a ripulire i mari da plastiche e scarti di ogni genere. Sta scritto nella direttiva europea sugli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi, che ha ricevuto il via libera dal Parlamento europeo.
"La soluzione muove dal buon senso" si sofferma l'assessore. Forse era anche un po’ l'uovo di Colombo, ma nessuno ci aveva posto attenzione fino ad un anno fa. L'ha fatto la Regione Toscana che, a marzo del 2018, ha lanciato il progetto sperimentale "Arcipelago Pulito", il cui valore aggiunto e innovativo rispetto a esperienze per alcuni aspetti simili portate avanti in altri mari e in altre parti del mondo sta nell'aver creato una filiera completa, che va dalla raccolta del rifiuto alla sua analisi e trattamento e, quando possibile, recupero in un impianto idoneo: il primo progetto di questa natura, in Italia e in Europa. Un esperimento, nel braccio di mare davanti a Livorno, che vede coinvolte una cooperativa di pescatori locale, Legambiente, la Guarda Costiera, l'Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno Settentrionale, Unicoop Firenze, la società Labromare che gestisce la raccolta dei rifiuti nel porto livornese e Revet, che li ricicla.
Dopo i primi quattro mesi la sperimentazione è stata prorogata per altri quattro. E nei primi sei, da aprile fino allo scorso settembre, sono stati raccolti oltre 18 quintali di rifiuti, per un volume di oltre 24mila litri. È la dimostrazione che la sfida di ripulire il mare da quanto altri vi hanno gettato o vi è arrivato attraverso i fiumi è possibile. Su diciotto quintali, quattordici sono plastiche non recuperabili e da avviare allo smaltimento, il 14 per cento (260 chili) plastiche riciclabili. Ci sono anche piccole percentuali di acciaio, alluminio o banda stagnata. In mare, da sempre, si può trovare di tutto: ad aprile, in una delle prime uscite, i pescatori di Livorno tirarono su con le reti a strascico, tra sanpietri e sugarelli, scampi, qualche sardina, rombi e un polpo, non solo bottiglie di plastica, fascette, sacchi e buste, ma anche lo sterzo di un motoscafo, una vecchia tanica e una torcia da sub. Oggetti a volte quasi nuovi, altri a pezzi, molti incrostati dai detriti del tempo e dalle conchiglie.
"Se moltiplichiamo questo dato, raggiunto con sole sei barche impegnate, per tutti i pescherecci presenti in Italia - sottolinea Bugli - ben possiamo comprendere il contributo che allargare questo progetto darebbe alla salvaguardia dell'ambiente e allo sviluppo di un'economia collaborativa". E difendere l'ambiente vuol dire anche contribuire a contrastare i cambiamenti climatici, al centro delle iniziative degli studenti oggi.
Il progetto toscano, esempio di economia collaborativa e circolare ma anche molto senso pratico, era stato presentato a fine giugno a Bruxelles al Parlamento europeo. L'iniziativa era stata organizzata assieme alla deputata Simona Bonafè, che ha poi presentato l'emendamento accolto nella direttiva che ha raccolto adesso il sì dell'assemblea dell'Unione. Adesso la parola passa agli Stati membri, che la dovranno recepire nei loro ordinamenti.