Coronavirus e ambiente. Un’analisi ecologista di Andrea Pinchera di Greenpeace
Nei giorni scorsi Andrea Pinchera, direttore della comunicazione di Greenpeace, ha esposto interessanti considerazioni sul rapporto fra il contagio virale in corso e il rapporto dell’uomo con la natura
Ecco alcuni passi del documento, qui riprodotto in sintesi parziale, che può essere letto integralmente qui.
Il coronavirus e il nostro futuro prossimo
di Andrea Pinchera
Come ormai quasi tutti gli esperti dicono, la pandemia di COVID-19, determinata dal coronavirus (o SARS-CoV-2), ha molto a che fare con l'ambiente e con le campagne di Greenpeace. Giovanni Maga, direttore dell'Istituto di Genetica molecolare del CNR-IGM di Pavia, spiega per esempio che i fattori coinvolti nella crescente frequenza di epidemie degli ultimi decenni sono molteplici: "Cambiamenti climatici che modificano l'habitat dei vettori animali di questi virus, l'intrusione umana in un numero di ecosistemi vergini sempre maggiore, la sovrappopolazione, la frequenza e rapidità di spostamenti delle persone".
È uno scenario che conosciamo bene, purtroppo. In un rapporto del 2007 sulla salute nel Ventunesimo secolo, l'Organizzazione mondiale della sanità - la stessa che pochi giorni ha definito ufficialmente quella del coronavirus una "pandemia" - avvertiva che il rischio di epidemie virali cresce in un mondo dove il delicato equilibrio tra uomo e microbi viene alterato da diversi fattori, tra i quali i cambiamenti del clima e degli ecosistemi. Altri coronavirus come SARS e MERS, e virus particolarmente gravi come HIV ed Ebola, sono lì a testimoniarlo.
Un campanello d'allarme
La diffusione di questi nuovi virus, in poche parole, sarebbe l'inevitabile risposta della natura all'assalto dell'uomo, come spiega la virologa Ilaria Capua, che dal 2016 dirige uno dei dipartimenti dell'Emerging Pathogens Institute dell'Università della Florida: "Tre coronavirus in meno di vent'anni rappresentano un forte campanello di allarme. Sono fenomeni legati anche a cambiamenti dell'ecosistema: se l'ambiente viene stravolto, il virus si trova di fronte a ospiti nuovi". In altre parole, distruggere la natura finisce quasi sempre per avere un impatto sulla nostra salute: "Se intervieni su un ecosistema e, nel caso, lo danneggi, questo troverà un nuovo equilibrio. Che spesso può avere conseguenze patologiche sugli esseri umani".
Se si presta bene attenzione, il rischio di "spillover" è grande quanto il globo. Nel caso del coronavirus, le ricerche si concentrano sulla giungla della Cina e sulle popolazioni di pipistrelli locali. Ma nei casi di epidemie recenti, il virus sarebbe stato trasmesso da altri animali selvatici: civetta delle palme, dromedari, primati. E i luoghi di origine sono associati ai deserti del Medio Oriente o alle foreste tropicali dell'Africa, così come nuove patologie possono emergere, ed emergono, tanto dall'Amazzonia quanto dalle foreste dell'Australia. Anche il micidiale virus Ebola sarebbe arrivato all'essere umano grazie a un salto di specie, e per quanto ancora l'origine non sia certa, gli scienziati sospettano sempre di più dei pipistrelli: che sono mammiferi come noi, ma volano.
Crisi climatica e virus antichi
Ma il rischio potenziale potrebbe anche essere più esteso, assumendo una "dimensione temporale". Lo scioglimento di ghiacci e ghiacciai, infatti, potrebbe rilasciare virus molto antichi e pericolosi. Nel gennaio 2020, per esempio, un team di scienziati cinesi e statunitensi ha comunicato di avere rintracciato all'interno di campioni di ghiaccio di 15 mila anni fa, prelevati dall'Altopiano tibetano, ben 33 virus, 28 dei quali sconosciuti. Tracce del virus della Spagnola sono state ritrovate congelate in Alaska, mentre frammenti di DNA del vaiolo sono riemersi dal permafrost nella Siberia nord-orientale. Proprio il permafrost rappresenta un ambiente perfetto per conservare batteri e virus, almeno fin quando non interviene il riscaldamento globale a liberarli. E che ciò possa avvenire lo testimonia un episodio dell'estate del 2016, quando - sempre in Siberia - l'antrace ha ucciso un adolescente e un migliaio di renne, oltre a infettare decine di persone.
Clima e infezioni viaggiano insieme. In poche parole, se per il coronavirus il meccanismo identificato dagli scienziati è quello di un salto di specie innescato dalla promiscuità con animali selvatici, amplificato dalla concentrazione di popolazione nelle megalopoli e trasportato dalla globalizzazione, la crisi climatica potrebbe offrire scenari ancora più pericolosi. Ovvero il riemergere dai ghiacci dei Poli o dai ghiacciai dell'Himalaya di virus che il loro "spillover" lo hanno effettuato in tempi remoti e che pensavamo di avere debellato per sempre. O, peggio ancora, di patologie che non conosciamo affatto.
Potere e responsabilità
Come sostiene David Quammen, insomma, "più distruggiamo gli ecosistemi, più smuoviamo i virus dai loro ospiti naturali e ci offriamo come un ospite alternativo". La soluzione? Può essere solo in un completo ripensamento della nostra relazione con la natura: proteggere la biodiversità, fermare la crisi climatica, frenare la distruzione delle foreste e ridurre il consumo di risorse. Ricorda qualcosa? Sono questioni da sempre al centro delle campagne di Greenpeace, e delle nostre comunicazioni. Quando la pandemia di coronavirus sarà cessata, bisognerà intervenire sui fattori che l'hanno determinata. Senza operare quel meccanismo tipico di rimozione per il quale politici, giornalisti, opinione pubblica si riempiono della parola "clima" - per esempio - in presenza di uragani, alluvioni o incendi devastanti, salvo dimenticarsene un secondo dopo. Se ciò non avvenisse, se non si agisse sulle cause della diffusione di nuovi virus, che sono anche ambientali, continueremmo a vivere in una condizione di grave rischio potenziale.
In altri termini, possiamo dire che la specie umana ha preso da tempo il "comando delle operazioni" sulla Terra, sottomettendo la natura ad azioni spesso irreversibili; è diventata un "agente di trasformazione", come una forza geologica, tanto che gli scienziati usano il termine "Antropocene" per definire l'epoca attuale. Come sempre accade, a un potere quasi sconfinato - e distruttivo - bisogna sapere associare criteri di responsabilità altrettanto importanti, per evitare che l'impatto di tali trasformazioni sia devastante e si ritorca contro noi stessi. Mettendo a rischio la stessa specie umana. Non stiamo parlando del Pianeta, ma dei suoi abitanti. Di noi e dei nostri figli.