Le emissioni italiane di gas serra in calo del 20% rispetto al ‘90
Diminuiscono del 6-7% rispetto al 2013. Tre le priorità per vincere la sfida del cambiamento climatico. Ronchi: “Si è ridotta l’intensità carbonica del Pil”
Le emissioni di gas serra continuano a calare in Italia. Nel 2014 si sono infatti attestate attorno a 410 milioni di tonnellate di CO2eq, cioè l’insieme delle diverse sostanze è stato reso equivalente all’effetto serra del gas di riferimento, l’anidride carbonica.
Si tratta di 25-30 MtCO2eq (milioni di tonnellate di anidride carbonica) in meno rispetto al 2013, un taglio del 6-7%.
Rispetto al 1990, nel 2014 le emissioni di gas di serra dell’Italia sono state ridotte del 20% , quasi 110 MtCO2eq in meno e di poco meno di 170 MtCO2eq rispetto al picco del 2005.
La Fondazione per lo sviluppo sostenibile pubblica, in anteprima, una stima delle emissioni nazionali di gas serra per l’anno appena trascorso, come da tradizione, in occasione dell’anniversario dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto (16 febbraio 2005).
“Il calo delle emissioni di gas serra – ha affermato Edo Ronchi, presidente della Fondazione - non è prodotto solo dalla lunga recessione economica, ma dalla riduzione dell’intensità carbonica del Pil: nel 2014 sono stati emessi circa 300 gCO2eq per produrre un euro di Pil, contro i 400 gCO2eq per ogni euro di Pil del 2005. Se questo trend sarà confermato, le emissioni continueranno a calare anche nei prossimi anni in presenza di una ripresa economica. È, infatti, in corso un mutamento strutturale del sistema energetico italiano, prodotto dall’aumento sia dell’efficienza energetica e sia delle fonti energetiche rinnovabili”.
Alla base del calo delle emissioni stimato dalla Fondazione, sta in primo luogo il calo della domanda di gas naturale, secondo le stime del ministero dello Sviluppo economico scesa da 70 a meno di 62 miliardi di m3 (-12%), a causa in primo luogo di un calo della produzione termoelettrica. “Su tali dinamiche hanno inciso le politiche in favore dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili - osserva Andrea Barbabella, responsabile energia della Fondazione - in particolare, nel settore della produzione elettrica, le stime preliminari di Terna indicano un aumento consistente del contributo dell’idroelettrico, da 54 a 58 miliardi di chilowattora (+7,5%) grazie anche ad una annata favorevole, e del fotovoltaico, da 21,2 a 23,3 miliardi di chilowattora (+10%). Annata nera invece per l’eolico che ha risentito di interventi normativi avversi. Ipotizzando una crescita moderata delle biomasse, per le quali non si dispone di dati aggiornati, e scontando la componente non rinnovabile dell’idroelettrico (quello da pompaggi), si può prevedere una produzione rinnovabile tra 110-115 miliardi di chilowattora, pari a oltre il 42-43% della produzione nazionale e al 36-37% del fabbisogno elettrico”.
Siamo nel pieno del percorso verso il nuovo accordo globale sul clima che dovrà essere licenziato dalla ventunesima Conferenza delle Parti che si terrà a Parigi a dicembre. A questa importante conferenza si arriva dopo un 2014 da record, con la concentrazione di CO2 in atmosfera che ha sfondato la soglia dei 400 ppm e la temperatura media più alta di sempre (Wmo, Organizzazione meteorologica mondiale). A questo si aggiunge la continua crescita delle emissioni globali di gas serra, oramai ben oltre le 50 miliardi di tonnellate di CO2eq (Ipcc). “A livello internazionale – dice Ronchi- si è deciso di seguire la strada degli impegni volontari di riduzione ma questi, come certificato dalla stessa Unep, sono al momento insufficienti a portare al dimezzamento delle emissioni necessario da qui al 2050. Ciononostante è ancora possibile puntare su un nuovo accordo internazionale positivo ed efficace , agendo su tre elementi chiave”.
Si tratta di mettere in campo tutte le iniziative possibili di sensibilizzazione e mobilitazione dell’opinione pubblica, promuovere un percorso di progressiva convergenza delle emissioni pro capite, dando la possibilità di lasciar crescere per alcuni anni le emissioni ai paesi più poveri per poi comunque ridurle; valorizzare il potenziale della green economy, oggi sottovalutato.