Alla faccia dell’Unesco! Si scava per petrolio e gas anche nei siti “patrimonio dell’umanità”
È l’Iucn, l’Unione mondiale per la conservazione della natura, a lanciare l’allarme. Virunga, nella Repubblica democratica del Congo, e le foreste vergini di Komi, in Russia, hanno già subito danni irreversibili
Le attività di estrazione e le esplorazioni alla ricerca di gas e petrolio nei siti patrimonio mondiale dell’umanità sono in crescita. A diffondere l’allerta è l’Unione mondiale per la conservazione della natura, Iucn, l’organo consultivo sulla natura per i siti gioiello dell’Unesco.
La preoccupazione degli esperti è crescente perché sono sempre di più i siti patrimonio dell’umanità minacciati da progetti di attività estrattive o di esplorazione per idrocarburi. “Queste aree eccezionali, che coprono meno dell’1% della superficie del Pianeta, sono state incluse nella lista per il loro enorme valore per l’intera umanità – ricorda Tim Badman dell’Iucn. – È dovere di ognuno di noi collaborare per la loro protezione e conservazione”. Secondo l’Unione, questo tipo di attività economiche hanno già provocato danni irreversibili a luoghi con un valore naturale unico, come Virunga nella Repubblica democratica del Congo o le foreste vergini di Komi in Russia.
In un recente rapporto, frutto della collaborazione fra Unesco, Iucn, International Council on mining and metals (Icmm), Jp Morgan bank e Shell International, sono state presentate delle proposte per rafforzare il ruolo della convenzione sui siti patrimonio dell’umanità nel salvaguardare queste delicatissime aree. I siti naturali Unesco in pericolo sono soprattutto in Africa, dove uno su quattro subisce gli effetti negativi della nuova ricerca di fonti fossili di energia. “È ormai chiaro che la conservazione desiderata non sarà raggiunta attraverso gli impegni delle singole compagnie – ha aggiunto Badman. – Il compito di assicurare che i siti patrimonio dell’umanità non subiscano l’impatto delle industrie estrattive non può essere efficace solo con il coinvolgimento di poche imprese responsabili”.