Buone notizie. L’Italia è ora meno dipendente dall’energia estera, crescono le rinnovabili
Presentato al Parlamento europeo il sesto Med & Italian Energy Report, frutto della sinergia tra Srm (centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo) e l'Esl@energycenter Lab del Politecnico di Torino. Si riduce, seppur di poco, il livello di dipendenza energetica passando dal 77 al 74%
L’Italia ha un mix energetico tra i dipendenti dall’estero ma grazie rilevante crescita dell'energie rinnovabili e con un importante e con scorte complessive superiori alla media europea. Lo evidenzia il sesto Med & Italian Energy Report, ricerca frutto della sinergia scientifica tra Srm (centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo) e l'Esl@energycenter Lab del Politecnico di Torino e della collaborazione con la Fondazione Matching Energies.
Cala la dipendenza, crescono le rinnovabili
Cresce il peso delle rinnovabili nell’Ue e varia il mix energetico. L'uso del carbone è sceso dal 32% del 2000 a circa il 12%; aumentata la quota del gas naturale dal 12% al 17%. Dominano le energie rinnovabili, passate dal 15% al 45%. L’Italia è oggi meno dipendente. Migliora, seppur di poco, il livello di dipendenza energetica passando dal 77 al 74%. Non solo: quest’anno il Paese ha raggiunto un livello di scorte del 98,5%, oltre la media europea, assicurandosi ampia copertura contro eventuali rischi forniture. E le rinnovabili sono il driver su cui insistere: gli ultimi dati al 2024 per l’Italia, evidenziano che la richiesta di energia elettrica è stata soddisfatta per il 41,2% da energia rinnovabile, il massimo di sempre.
Ponte con l’Africa
È fondamentale - si legge nel report - procedere nel dialogo energetico tra Europa e Nord Africa anche per la produzione di rinnovabili e idrogeno verde. È stato calcolato che considerando la generazione di elettricità da fotovoltaico, basterebbe meno dell'1% della superficie dei paesi della costa meridionale per generare elettricità sufficiente non solo a soddisfare la loro futura domanda di energia elettrica, ma anche per produrre elettricità in eccesso che potrebbe essere esportata verso le altre due sponde. L’Italia può assumere il ruolo di “ponte” tra Europa e Nord Africa, dove porti e shipping diventano strategici per l’economia energetica globale non solo per le commodity fossili, ma anche per grandi progetti inerenti le energie rinnovabili, in particolare solare ed eolico anche offshore.
Porti e stretti
La sfida sarà anche accogliere navi con propellenti come metanolo, gnl, ammoniaca al punto che il 52,6% del portafoglio ordini navale nei cantieri sarà in grado di utilizzare carburanti o propulsioni alternative. Per i porti italiani, il segmento energy vale il 35% del totale movimentato. Essi stanno affrontando una rivoluzione energetica. Per i porti italiani il segmento energy vale il 35% del totale movimentato. La nuova sfida è diventare hub della transizione energetica, impegnandosi a rendere più ecologiche le attività. I primi 5 energy port italiani concentrano il 69% del traffico e sono: Trieste, Cagliari, Augusta, Milazzo e Genova. Trieste è il più importante porto energetico e gateway dell’Italia. Tre di questi porti sono nel Mezzogiorno. Il Mezzogiorno con un peso specifico di circa il 50% della movimentazione portuale italiana ha un ruolo chiave nel percorso verso la transizione “green” contribuendo a generare sinergie tra le due sponde del Mediterraneo, valorizzando la presenza in Nord Africa di grandi fonti di energia rinnovabile.
La nuova sfida
La nuova sfida è diventare hub della transizione energetica, impegnandosi a rendere più ecologiche le attività. Avanza il modello green con investimenti e nuove sfide per le nostre infrastrutture. Enorme sarà anche il ruolo degli Stretti: Hormuz, Malacca e Suez, chokepoint energetici, avranno una funzione strategica. Passano attraverso Hormuz il 34% del commercio di greggio, il 14,3% dei prodotti raffinati, il 25,6% del gas e il 18% del gnl. Per lo Stretto di Malacca invece transita circa il 33,5% del commercio di greggio insieme al 13% circa dei prodotti raffinati, al 15,1% del gas e al 17% del gnl. Sono transitati per Suez il 5% del commercio totale di petrolio (greggio e prodotti già raffinati), il 2,2% del gas e l’1,2% del gnl. Valori che in prospettiva, quando avverrà la normalizzazione in Medio Oriente, potrebbero tornare a essere ben superiori.