Ecco perché la cattura e stoccaggio della CO2 non fa concorrenza alle rinnovabili e può servire all’industria pesante
La cattura e stoccaggio della CO2 (Ccs) è per ora l’unica soluzione per fermare le emissioni cosiddette “di processo” legate cioè alle trasformazioni chimico-fisiche dei processi produttivi. L’appoggio di Iea, Ipcc e Irena. Il nesso con il prezzo dell’Ets
Torniamo a parlare di cattura, trasporto e stoccaggio della CO2, in sigla Ccs, un progetto guardato con interesse dall’industria pesante ed energivora, sempre più alle prese con problemi di competitività, ma che si scontra con la diffidenza del mondo ambientalista che vede queste tecnologie in conflitto con le fonti rinnovabili di energia come strumento per contenere le emissioni climalteranti. Cerchiamo dunque, di capire meglio in questa seconda parte sul tema (trovi qui la prima parte) e che cosa comporta la sua adozione in termini di decarbonizzazione e di costi delle tecnologie incentivate.
La Ccs non è in conflitto con le rinnovabili
Nella corsa alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di altre sostanze climalteranti si è creata una vera e propria conflittualità tra chi, da un lato, sostiene le energie rinnovabili come soluzione unica che esclude le altre tecnologie e chi, più laicamente, guarda a un’orchestra di strumenti che puntano alla decarbonizzazione, ciascuno dei quali con una sua specificità d’uso. Spesso chi contesta la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica sostiene che si tratti di una scelta che né a breve né a lungo termine risulterà più promettente delle rinnovabili, considerate il mezzo più economico per produrre energia elettrica. Per il Wwf “la Ccs avrebbe un’incidenza irrisoria rispetto al fabbisogno di riduzione delle emissioni e i progetti finora realizzati mostrerebbero la sua inefficienza anche economica”. Occorre tuttavia sottolineare che la cattura e stoccaggio della CO2, che piace agli industriali e vuole agire in sinergia con altre leve e non in contrapposizione, ha come target le emissioni degli “energivori”, le cui esigenze particolari necessitano di soluzioni diverse da quelle delle rinnovabili “tradizionali”.
Strumenti diversi per applicazioni diverse
Per raggiungere gli sfidanti target climatici, infatti, è fondamentale utilizzare le migliori tecnologie a disposizione nelle condizioni in cui ciascuna risulta più efficace.
Ad esempio, la Ccs è l’unica soluzione disponibile in modo praticabile per contenere le emissioni cosiddette “di processo” ovvero legate non tanto alla produzione di energia ma alle trasformazioni chimico-fisiche dei processi produttivi. Questo è il caso dei settori hard to abate, come ad esempio quello del cemento, nel quale circa due terzi dell’anidride carbonica prodotta deriva dalla trasformazione del calcare in calce.
Consente una maggiore produzione di fossili? Non più
La Ccs sconta però un peccato di gioventù che la penalizzava e che faceva sobbalzare (a ragione) tutti gli ambientalisti. In passato i progetti di cattura venivano progettati principalmente dall'industria petrolifera come mezzo per incrementare la produzione di petrolio attraverso l'iniezione di CO2 nei campi petroliferi (il cosiddetto enhanced oil recovery). Tutto vero, ma oggi, è ancora così? In larga parte no: l’applicazione della Ccs è oggi largamente disaccoppiata dalla produzione di idrocarburi. A dirlo è lo Global Status of CCS Report 2023 dedicato allo stoccaggio geologico, secondo cui circa l’80% dei 351 nuovi progetti di sviluppo non ha nulla a che fare con la produzione di idrocarburi. Un trend diffuso e che fa sì che la grande maggioranza dei progetti annunciati e in sviluppo sia dedicata alla decarbonizzazione delle emissioni industriali e al loro stoccaggio geologico permanente.
La comunità internazionale la sostiene
Sull’importanza della Ccs per la transizione energetica si sono espresse anche tutte le principali organizzazioni internazionali che si occupano di tematiche energetiche e non solo, come l’Agence internationale de l’énergie-International Energy Agency (Aie-Iea), l’International panel on climate change (Ipcc), International renewable energy agency (Irena). In tutti i principali scenari di transizione energetica compatibili con gli obiettivi di decarbonizzazione, le tecnologie di cattura, utilizzo e stoccaggio della CO₂ vengono considerate indispensabili, soprattutto per la decarbonizzazione del comparto industriale.
Nel suo scenario “Net Zero Emissions” l’Aie prevede che la completa neutralità carbonica possa essere raggiunta al 2050 solo grazie al contributo determinante della Ccs che, per quella data, sarà chiamata a evitare l’emissione di 6,04 miliardi di tonnellate di CO₂ l’anno.
L’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena) ne prevede circa 7 miliardi e negli scenari del gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) ne servirebbero in media 7,1 per essere compatibili con un riscaldamento globale massimo di 1.5°C.
Per quanto si possano trovare in letteratura anche scenari e opinioni diverse, quelli citati sono gli scenari più aggiornati e autorevoli a disposizione della comunità tecnico scientifica, che hanno portato la Commissione Europea con l’industrial carbon management strategy (2024) ad indicare l’obiettivo della creazione di un mercato europeo per la gestione industriale della CO₂ identificando target di cattura, trasporto e stoccaggio di 50 Mtpa al 2030, di 280 Mtpa al 2040 e di 450 Mtpa al 2050.
Il nesso con il prezzo dell’Ets
Il tema della riduzione delle emissioni di anidride carbonica rimane al centro degli investimenti nei bilanci delle imprese, specie quelle più inquinanti. Come è noto l’Emissions trading system (Ets) è uno degli strumenti attraverso il quale l’Unione Europea stabilisce limiti annuali in materia di emissioni. Nel 2023, il valore medio delle quote sul mercato europeo è stato di circa 85 euro la tonnellata (al 31 ottobre 2023) e, nonostante la recente riduzione ad inizio 2024 a valori di circa 65 euro, le previsioni degli scenari delle organizzazioni più accreditate indicano un deciso aumento nei prossimi anni di tale costo a 115-120 euro già nel 2030 e a 200 euro la tonnellata di CO2 al 2050. Se per una azienda l’obiettivo diventa ridurre le emissioni per evitare di continuare a pagare le relative quote, si capisce perché cresca l’interesse di imprenditori e manager dei settori hard-to -abate come cementifici, acciaierie, carta, ceramica, chimica alla tecnologia di cattura e stoccaggio, una soluzione che non comporta stravolgimenti del ciclo produttivo né onerosi investimenti e che può contribuire come valida alleata nella guerra contro le emissioni di CO2.