Sdoganare l'atomo fra transizione energetica e spinte no-nuke
Si riapre fra molti ostacoli, soprattutto sociali, l'opzione per la ricerca di energia abbondante a zero emissioni
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Paolo Esposito*
Uno dei più solidi tabù italiani degli ultimi 35 anni è quello che ha ad oggetto il nucleare: dal 1987, in esito al primo referendum sul tema, in Italia non si produce più energia elettrica con tecnologia nucleare e qualsiasi tentativo di invertire la rotta è sempre stato bruscamente bloccato (ad esempio, con il secondo referendum del 2011). Una radicale uscita di scena per quello che allora era il terzo produttore mondiale di elettricità da tecnologia nucleare. (Ciò nonostante, l’Italia ha conservato un importante know-how in materia e ha una filiera industriale nel settore di tutto rispetto).
C’è un filo rosso che collega l’antinuclearismo degli anni 70-80 con i più recenti movimenti no-TAV, no-TAP, no-Triv, che hanno prosperato su irrazionali paure alimentate da una cultura anticapitalista (la “decrescita felice”) decisamente solida in Italia. Il problema non è solo italiano ma riguarda, in diversa misura, tutti i Paesi democratici maggiormente sviluppati: l’Italia, però, è stata la più oltranzista.
In questo quadro a tinte forti, tuttavia, si intravedono alcuni primi segnali di una possibile inversione di tendenza.
Un primo, importante segnale è la sempre più diffusa consapevolezza dell’emergenza climatica in corso e dell’urgenza di adottare misure idonee a contrastare l’innalzamento della temperatura e, in particolare, ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera. Negli ultimi anni si è diffusa una crescente sensibilità su questo tema, in grado di orientare il consenso verso misure idonee a mitigare il problema.
Una delle attività che maggiormente contribuisce a tali emissioni è la produzione di energia elettrica che, quindi, è la principale destinataria di misure contenitive. In particolare, la produzione da fonti fossili (carbone e metano) è, di gran lunga, la principale responsabile delle emissioni di CO2, seguita, a grande distanza, dalle varie fonti rinnovabili e, infine, dal nucleare. Tuttavia, come noto, la produzione da fonti fossili non può essere totalmente sostituita (in modo ragionevole) da quella rinnovabile, come ormai sono costretti ad ammettere anche i più strenui (e onesti) sostenitori del “100% rinnovabile”; mentre il nucleare potrebbe certamente sostituirla.
Altri importanti segnali provengono dagli operatori del settore: nel solo mese di marzo i tre principali operatori del mercato italiano dell’energia hanno annunciato importanti accordi in materia di nucleare. Eni e CFS, spin-out del MIT di Boston, hanno firmato un accordo per accelerare l’industrializzazione dell’energia da fusione; Edison ha siglato un accordo con EdF, Ansaldo Energia e Ansaldo Nucleare per lo sviluppo dell’energia nucleare in Europa, in particolare nel campo degli Small Modular Reactors; e Enel e Newcleo hanno annunciato una partnership per cooperare sul nucleare di quarta generazione. Peraltro, è anche significativo che Newcleo (scaleup italo-britannica che sviluppa innovativi reattori nucleari di IV generazione) abbia in corso un round di finanziamento da 1 miliardo di Euro, oltre ai 400 milioni già raccolti.
Infine, interessanti segnali provengono dalla politica e dalle istituzioni. A maggio il Parlamento ha approvato due mozioni – una del Governo e una del gruppo Italia Viva-Azione – che, tra l’altro, impegnano il governo a «valutare l’opportunità di inserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare come fonte alternativa e pulita per la produzione di energia». A giugno in Parlamento si è costituito un intergruppo sull’energia nucleare, a cui partecipano esponenti di tutti i gruppi tranne M5S e estrema sinistra. Sempre a giugno, Azione ha avviato una raccolta di firme su una petizione al governo per “adottare ogni iniziativa di carattere legislativo e normativo per la diffusione nel nostro Paese di reattori nucleari”. E ancora a giugno il ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica ha trasmesso alla Commissione Europea la proposta di aggiornamento del PNIEC in cui, tra l’altro, si dice espressamente che “insieme alle risorse energetiche rinnovabili, le tecnologie nucleari di nuova generazione occuperanno un ruolo importante nella transizione energetica verso un'economia a basse emissioni di carbonio”.
Sembrerebbe, quindi, che stiano maturando le condizioni per uno “sdoganamento” del nucleare.
Il principale ostacolo da superare non è di natura tecnologica, geopolitica, economica, ambientale o di sicurezza. E neppure giuridica, posto che i due referendum che si sono tenuti in passato non creano alcun vincolo giuridico sull’eventuale riavvio della produzione da nucleare e che la tassonomia europea include il nucleare tra le attività economiche sostenibili. Il vero, grande ostacolo è rappresentato dall’ignoranza e dall’irrazionalità.
A prescindere da ogni valutazione tecnico-economica, che ben potrebbe portare a ritenere il nucleare meno interessante di altre soluzioni, il suo sdoganamento avrebbe la sana conseguenza di allargare la competizione tra le tecnologie di produzione energetica.
[*] studio legale Greenberg Traurig Santa Maria