Rifiuti, ecco che cosa emerge dal Green Book 2023 di Utilitatis
Il settore vale 13,5 miliardi di fatturato e 100 mila occupati, ma permangono gestioni frammentate e carenza di impianti. Tutti i numeri del settore. Le gare in ritardo e gli investimenti
Il settore dei rifiuti in Italia continua a scontare una serie di questioni aperte mai risolte: dall’eccessiva frammentazione della gestione - solo due aziende su dieci si occupano dell’intero ciclo - fino alla scarsità di impianti al Sud, che porta al trasferimento dell’immondizia fuori regione con la conseguenza che gli abitanti del Mezzogiorno pagano la Tari più alta del Paese. È in sintesi la fotografia scattata dal Green Book 2023, il rapporto annuale sul settore dei rifiuti urbani in Italia, promosso da Utilitalia e curato dalla Fondazione Utilitatis, realizzato quest’anno in collaborazione con Ispra e con la partecipazione di Enea e Ancitel Energia e Ambiente. Il rapporto evidenzia innanzitutto la necessità di migliorare il sistema di gestione, in particolar modo nel Mezzogiorno, nell’ottica di conseguire il raggiungimento degli obiettivi comunitari: avvio a riciclo entro il 2025 per almeno il 55% dei rifiuti urbani (60% entro il 2030 e 65% entro il 2035) e smaltimento in discarica fino ad un massimo del 10% entro il 2035.
Se nel 2021 la produzione pro capite è aumentata del 3% rispetto al 2020, raggiungendo i 502 chili per abitante, la percentuale di riutilizzo e riciclaggio è ferma al 48% e lo smaltimento in discarica interessa ancora il 19% dei rifiuti. È necessario dunque migliorare la qualità della raccolta differenziata e al contempo investire su nuovi impianti.
I numeri del settore, fatturato e spesa
Nel 2021, il fatturato di settore (considerando un campione di 534 aziende) ha raggiunto circa 13,5 miliardi di euro, pari a circa lo 0,8% del Pil nazionale, occupando circa 100 mila addetti diretti che costituiscono lo 0,4% del totale degli occupati in Italia e circa l’1,7% degli occupati del settore industriale.
L’analisi delle gare per l’affidamento dei servizi (pubblicate nel periodo 2014-2022) conferma le difficoltà e i ritardi nella standardizzazione delle dimensioni e delle tempistiche di affidamento dei servizi di gestione del ciclo integrato dei rifiuti a livello nazionale.
Oggi la maggior parte delle gare (l’87% di 2.499 analizzate) viene bandita per affidamento del servizio ad un solo Comune; inoltre l’85% delle gare per l’affidamento dei servizi di gestione ha una durata pari o inferiore a 5 anni.
La maggior parte delle gare (il 67%) è localizzata al Sud, per effetto della ridotta presenza di gestioni industriali in questa parte del Paese. Proprio il Mezzogiorno continua a presentare un significativo deficit impiantistico che non consente la corretta chiusura del ciclo dei rifiuti, contribuendo al differenziale di spesa per il servizio di igiene urbana. A causa del maggiore costo sostenuto per il trasporto dei rifiuti verso impianti fuori Regione, infatti, il Sud registra la Tari più alta del Paese, con 368 euro/abitante nel 2022, staccando Centro (335 euro) e Nord (276 euro).
“L’evoluzione industriale del comparto ambientale - commenta il presidente della Fondazione Utilitatis, Stefano Pareglio - è un requisito necessario per la transizione verso un modello economico circolare, in grado di assicurare il pieno utilizzo delle materie prime seconde. È altrettanto indispensabile superare il divario nella qualità dei servizi tra Nord e Sud, migliorando la qualità della raccolta differenziata per garantire la chiusura del ciclo”.
Investimenti e fabbisogno di settore
Con il 60% destinato alle regioni del Sud e le azioni di riforma messe in campo, il Pnrr può offrire una spinta importante a colmare il service divide che caratterizza il Paese. Le linee di investimenti programmate mirano a incentivare la circolarità delle risorse e, nello specifico, a migliorare i sistemi di raccolta e gestione dei rifiuti in tutto il territorio nazionale.
Per questi interventi sono stati stanziati 2,1 miliardi di euro a fronte di progetti candidati dalle imprese per circa 7 miliardi di euro: si tratta quindi di risorse che agiscono da propulsore per gli investimenti delle aziende, ma non sufficienti a colmare il fabbisogno nazionale di settore. Secondo una stima di Utilitalia del 2023 che non tiene conto degli interventi finanziati dal Pnrr, per rispettare gli obiettivi Ue il fabbisogno impiantistico al 2035 è stimato in 4-5 miliardi di euro per il trattamento della frazione organica e per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili; a questi vanno sommati 1,2 miliardi di euro per l’incremento della raccolta differenziata, 600 milioni di euro di investimenti finalizzati a mettere in servizio le strutture dedicate al fabbisogno residuale di discarica del 10% e infine altri 300 per l’implementazione della tariffa puntuale.
“Nel complesso quindi – spiega il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – la stima del fabbisogno di settore al 2035 è pari a 6-7 miliardi di euro, ovvero tra i 0,5 e i 0,6 miliardi di euro l’anno. Il Green Book evidenzia l’importanza di una gestione industriale dell’intero ciclo dei rifiuti, la necessità di realizzare impianti soprattutto al Centro-Sud e l’urgenza di superare le frammentazioni gestionali. Si tratta di tre elementi fondamentali per la piena affermazione dell’economia circolare. A tal proposito le aziende associate a Utilitalia, grazie anche ai fondi del Pnrr, sono adesso impegnate a realizzare impianti innovativi in filiere strategiche come la frazione organica, i Raee e i tessili”.