Surprais! In Marocco il nimby contro la spazzatura esportata dall’Italia
Le “ecoballe” di rifiuti arrivano in Marocco, dove gli ecologisti si ribellano. Petizione con raccolta di firme
Avete presente tutte le opposizioni nimby che, nel nome di una stravagante idea di ecologia, per anni hanno bloccato lo smaltimento dei rifiuti in Campania, Sicilia e così via e prodotto l’accumulo delle ecoballe? Ebbene, ora spediamo quell’immondizia ai marocchini. I quali, altrettanto nimby ma forse più giustamente, non vogliono che la spazzatura italiana venga bruciata nei loro cementifici.
La vicenda con ordine.
"Chiediamo al Ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti chiarimenti in merito alle 2.500 tonnellate di ecoballe provenienti dalla Campania e destinate allo smaltimento nei cementifici di Casablanca e Settat, rifiuti che molto preoccupano gli attivisti ecologisti marocchini che, in pochi giorni, hanno raccolto 10mila firme per protestare contro questa operazione". Così scrivono i deputati Khalid Chaouki, membro della Commissione Esteri, Eleonora Cimbro, presidente del gruppo di amicizia Italia-Marocco, Chiara Braga, responsabile ambiente del Partito Democratico e Floriana Casellato nell'interrogazione depositata in Commissione Ambiente, dandone notizia in un comunicato.
"Riteniamo urgente procedere ad una approfondita verifica della vicenda - si legge ancora nell'interrogazione - al fine di chiarire quale tipologia di rifiuti sarebbero arrivati nel porto marocchino di Al-Jadida e se tali rifiuti siano in linea con i parametri internazionali relativi allo smaltimento degli stessi".
Intanto, in Marocco ha raggiunto le 15.200 firme la campagna di sottoscrizioni lanciata su internet, da presentare al premier Abdel Ilah Benkirane per respingere il carico di rifiuti giunto la scorsa settimana al porto di al Jadida dall'Italia.
"No all'arrivo dei rifiuti dall'Italia sul territorio marocchino, in quanto rappresentano un pericolo per la salute pubblica", recita l'appello. L'iniziativa è volta anche a chiedere al governo di non smaltire quei rifiuti "per le possibili conseguenze sull'agricoltura e per l'eventuale diffusione di malattie".
Anche le organizzazioni sindacali marocchine hanno criticato la decisione del governo di accettare l'arrivo dall'Italia di 2.500 tonnellate di rifiuti da smaltire nei cementifici di Casablanca e Settat.
I sindacati che fanno parte della Coalizione marocchina per la giustizia climatica ritengono "inaccettabile il fatto che il Marocco accetti i rifiuti da qualsiasi paese, perché questo può provocare danni e minacciare la salute dei cittadini". I sindacati appoggiano inoltre la campagna contro l'uso delle buste di plastica e per l'introduzione delle buste biodegradabili nel paese nordafricano.
L'associazione nazionale per la lotta alla corruzione di Rabat ha incaricato l'avvocato marocchino Ishaq Sharia di fare causa al ministero dell'Ambiente chiamandolo in giudizio per la vicenda.
L'avvocato Sharia ha spiegato al quotidiano locale Siyasi di essere stato "incaricato di sporgere denuncia davanti al tribunale amministrativo e penale di Rabat contro il ministro dell'Ambiente, Hakima al Haiti, e contro l'amministrazione della dogana, che ha consentito l'arrivo di questo carico di rifiuti". L'accusa è quella di "aver compiuto dei crimini che minacciano la salute dei cittadini marocchini e aver violato le leggi in materia".
Il partito liberale marocchino, intanto, ha chiesto al parlamento di Rabat l'istituzione di una commissione d'inchiesta sulla vicenda del carico di rifiuti proveniente dall'Italia.
Il gruppo parlamentare liberale ha chiesto ai membri della commissione ambiente della Camera dei rappresentanti di formare un comitato per indagare sulla provenienza dei rifiuti e sugli accordi presi tra i due paesi. Wadi Ben Abdullah, presidente del gruppo parlamentare liberale nel parlamento a Rabat, ha spiegato al sito informativo marocchino Hespress di "voler fare chiarezza per il popolo, considerato che siamo in campagna elettorale e vogliamo avere un rapporto di trasparenza con i nostri elettori. Non ci bastano le parole del governo: vogliamo sapere di più".