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Tuttowwf. Gli allarmi. Una raccolta dei più recenti documenti dell’associazione

where Milano when Lun, 25/11/2024 who roberto

Effetto clima: al sud crollano produzioni tradizionali come cereali, ciliegie e olio, in favore della nascita di nuovi mercati di frutta tropicale; al nord il clima affligge il mercato del mais, colture vinicole salgono in alta quota, addio per quest’anno al miele. Manovra di bilancio 2025: assenti tutela dell’ambiente, transizione ecologica e prevenzione dei rischi climatici. Le lacune del piano e delle politiche climatiche italiane. La Cop16 sulla biodiversità

Effetto clima
Rappresenta un terzo (il 27%) wwf.jpegdel fatturato delle imprese italiane: l’industria dell’agroalimentare è uno dei sistemi cardine dell’economia del nostro Paese. Settore che però, anche in questo 2024, è stato gravemente impattato dagli effetti del riscaldamento climatico. Come ogni anno il Wwf, nell’ambito della campagna Our Future, pubblica un resoconto di valutazione sugli effetti che nel corso dell’anno eventi meteorologici estremi, piogge torrenziali, gelate tardive, siccità prolungate e ondate di calore, hanno provocato sulle nostre colture e di conseguenza sulla nostra economia. Stagioni imprevedibili ed eventi meteorologici estremi frequenti, queste sono le caratteristiche che il clima Mediterraneo sta acquisendo in questi anni, andando a incidere su un Paese che per via delle sue caratteristiche orografiche ne risentirà prima e più di altri. Il 2024 sarà probabilmente il primo anno in cui supereremo la soglia di +1,5 °C di temperatura globale. Rischiamo di entrare in un clima sconosciuto con un grave rischio per le persone. Più le temperature aumentano, più gli eventi estremi rischiano di infittirsi e aggravarsi: in Italia sono stati più di 7 ogni giorno (Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche). In soli dieci anni il numero di queste manifestazioni atmosferiche violente è più che quintuplicato. Gli impatti sulla nostra agricoltura sono evidenti: da un lato la siccità che ha colpito le regioni del Centro-Sud in modo pesante ha compromesso molti raccolti, dall’altro al Nord il maltempo e gli eventi piovosi estremi hanno causato allagamenti e perdita di raccolti per le motivazioni opposte.
 
Le colture al Sud
Al Sud, i dati del CNR-IBE evidenziano una situazione di “siccità severo-estrema” sul 29% della superficie agricola di 5 regioni (Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna), con picchi del 69% della superficie agricola colpita in Sicilia e del 47% in Calabria. Ad aggravare il quadro ha contribuito un’estate molto più calda della media. Tra giugno e agosto, al Sud la temperatura è stata 1,95°C più alta della media degli ultimi 30 anni. Temperature anomale anche al suolo: nei 3 mesi estivi la media nazionale ha segnato +2,1°C con punte di 4,1°C in Calabria e 3,8°C in Puglia. La siccità ha comportato uno scarso livello di riempimento degli invasi che danno acqua alle campagne: in Puglia, a fine agosto, la percentuale di riempimento degli invasi era solo del 9%, in Basilicata e Sicilia di circa il 20% (l'anno precedente era il 39%). Sicuramente pesa su questo bilancio anche la cattiva gestione della risorsa idrica, con perdite ingenti lungo la rete di distribuzione e una scarsissima diffusione dei sistemi di riciclo delle acque grigie in ambito urbano per i numerosi usi non potabili. Tra gli impatti della siccità al Sud, dove si concentrano importanti coltivazioni del Paese, c’è il calo della produzione agricola. Il grano duro, per esempio, ha mostrato un calo della produzione di quasi l’8% rispetto alla campagna precedente. Peraltro, a seconda del periodo in cui gli eventi siccitosi si concentrano, sono diverse le coltivazioni danneggiate. Ad esempio, in Sicilia la siccità primaverile ha portato danni a varie colture da seme: al 60% della produzione di legumi, al 70% dei cereali e all’80% delle foraggere, con punte del 100%. In Basilicata, la campagna di raccolta del kiwi ha patito il clima siccitoso nella fase di ingrossamento dei frutti, che ha portato a una riduzione della pezzatura media ma soprattutto a raccolti del 30% più bassi rispetto allo scorso anno.
Le pere sono diventate l’emblema della crisi produttiva che negli ultimi anni sta interessando gli alberi da frutto del nostro Paese. Alte temperature e siccità agiscono producendo uno stress termico e idrico che indebolisce le piante di pero e le espone all’azione dei patogeni. Negli ultimi anni, queste avversità hanno compromesso la produttività del pero con una variazione del -75% e una perdita totale quantificabile in 340 milioni di euro. La Puglia è la maggiore produttrice di ciliegie in Italia: il caldo anomalo della primavera ha più che dimezzato la produzione delle pregiate ciliegie Ferrovia con una riduzione di oltre il 50% rispetto allo scorso anno. Le lunghe ondate di calore e siccità in regioni come Sicilia, Calabria e Puglia hanno compromesso anche la campagna olearia 2024 - non ancora conclusa - che stima un drastico calo del 23% della produzione di olio d’oliva rispetto alla campagna precedente. Particolarmente in difficoltà la Puglia, da cui proviene metà della produzione nazionale, e la Sicilia in cui la produzione olivicola registra cali del 50-60% rispetto al 2023. L'impatto dei riscaldamenti climatici sta gravando anche sulla produzione vinicola che, nonostante mostri un segnale di ripresa del +7% per la vendemmia 2024 rispetto al 2023, soprattutto al Sud vede raccolti che rimangono al di sotto della media degli ultimi anni. Di conseguenza, la geografia della produzione vinicola sta cambiando: non è un caso che negli ultimi anni la viticoltura si stia spostando in altitudine, con vigneti piantati, nel nostro Paese, a 700, 800, 900 e 1.000 metri. Se per il caldo e la siccità le rese della frutta tradizionale sono in discesa, crescono quella della frutta tropicale: coltivazioni di banane, avocado, mango nel giro di cinque anni sono praticamente triplicate arrivando a sfiorare i 1.200 ettari fra Puglia, Sicilia e Calabria. Sempre in Sicilia e Puglia, il clima caldo ha determinato anche il ritorno del cotone in Italia.
 
Le colture al Nord
Al Nord, l’eccesso di precipitazioni è stato causa di perdita di rese agricole, rendendo i campi inaccessibili ai trattori per le lavorazioni, ritardando le semine, e il clima piovoso impedisce la raccolta del primo taglio di fieno, con ripercussioni sul settore zootecnico. Localmente gli allagamenti possono danneggiare o far morire colture come il mais, benché una stima puntuale di questo tipo di danno sia difficile a causa della variabilità locale delle condizioni del suolo che generano asfissia radicale. In parte per i ritardi sulle semine, in parte per le condizioni avverse, le stime di produzione per il mais indicano un calo produttivo complessivo fra il 30% e il 35%. Sempre al Nord, piogge e maltempo durante la primavera 2024 hanno compromesso irreparabilmente il raccolto dei mieli primaverili, tra cui quello pregiato di acacia, il raccolto primaverile più importante. Anche le principali produzioni di mieli monoflorali al Sud, come agrumi e di sulla, hanno avuto un crollo produttivo molto pesante a causa della siccità. L'apicoltura italiana rimane in una situazione di crisi grave, con il rischio di chiusura di molte aziende professionali. Altro aspetto da considerare è anche l’effetto che l’innalzamento delle temperature provoca direttamente sulle api, influendo negativamente sullo stato di salute e sulla longevità delle api e sulla presenza di predatori, come la Vespa velutina, specie esotica invasiva, e di parassiti. Un’altra grave minaccia arriva dagli inverni miti: con le temperature basse, piante perenni come gli alberi, non riescono a fare il necessario “reset” dei cicli di crescita annuale (crescita delle radici, poi dei germogli e fruttificazione). Se gli inverni somigliano ad autunni non arriva alle piante il segnale atteso e il nuovo ciclo vegetativo ha più difficoltà a ripartire nel momento opportuno.
 
Non solo agricoltura
Il caldo estremo non ha risparmiato effetti negativi anche sul settore della pesca e dell’acquacoltura. Il Wwf ricorda che il problema del riscaldamento del mare non è solo un problema di stress termico: il livello di ossigeno disciolto nell’acqua è inversamente proporzionale alla temperatura, questo vuol dire che più l’acqua è calda, meno ossigeno contiene. Se alcune specie riescono a tollerare bene anche condizioni di scarso ossigeno, molte specie di pesci e alcuni bivalvi, superate certe temperature, iniziano a morire in massa. La moria di organismi determina l’avvio di processi di decomposizione che contribuiscono ad abbassare l’ossigeno disciolto, in un circolo vizioso che può diventare pericoloso anche per la salute umana. Durante l’estate, nella laguna di Orbetello, a esempio, si sono registrate morie di orate e anguille. Il caldo non ha risparmiato nemmeno la produzione di cozze, in Puglia, con perdite fino all’80%; anche la produzione di vongole nel Delta del Po, già provata dall’espansione del granchio blu, ha subito perdite nel momento in cui tentava di risollevarsi. A ciò si è aggiunta nel corso dell’estate la diffusione di mucillagini che rende inutilizzabili le reti da pesca e causa difficoltà di sopravvivenza agli organismi marini, inclusi i pesci.
A fronte di fenomeni climatici estremi frequenti, la produzione agricola e ittica rischia di non riuscire a garantire sufficiente redditività agli imprenditori e di conseguenza inizia a essere a rischio la sicurezza alimentare; l’aumento dei prezzi delle materie agricole può rendere meno accessibile per le fasce di popolazione più povera una dieta sana. Il danno ambientale dovuto al riscaldamento climatico in atto determina pertanto ripercussioni gravi ed evidenti sia sul sistema economico, sia su quello sociale, a riprova del fatto che la sostenibilità è sempre un concetto che abbraccia le tre sfere di influenza, ambientale, sociale ed economica.
 
La manovra
Se la manovra di bilancio del 2024 segnava una battuta d’arresto sulle politiche ambientali, quella del 2025 non mostra alcun segnale di miglioramento. Sulle politiche ambientali la parola d’ordine sembra essere “definanziamento”. Rispetto al 2024, il disegno di legge bilancio 2025-2027 fa registrare per il ministero dell’ambiente un decremento del 9,4% (in termini assoluti -346,9 milioni). Una diminuzione delle spese in conto capitale che prosegue negli esercizi successivi fino ad arrivare nel 2027 a -38% rispetto al 2024.
Sconcertante, dato anche il contesto sociale, il taglio di 4,6 miliardi di euro in 6 anni del “Fondo Automotive”. Una scelta che, colpendo la transizione ambientale e sociale verso una mobilità a zero emissioni, mette a rischio il destino di migliaia di lavoratori e lo stesso futuro del settore in Italia.
Se sull’ambiente si taglia, si trovano invece 24 miliardi in 10 anni per un Fondo per generici interventi a favore di investimenti e infrastrutture, senza nemmeno indicare linee di indirizzo sui progetti da finanziare e le loro finalità. “Sembra quasi che il Governo viva su un altro Pianeta e non si sia ancora reso conto che riscaldamento climatico e perdita di biodiversità stanno ormai condizionando pesantemente la vita dei cittadini e la stessa economia, oltre all’ambiente”, dichiara Dante Caserta, responsabile affari legali e istituzionali del Wwf Italia. “È necessario un cambio di rotta con investimenti pubblici capaci di affrontare il riscaldamento globale e ambientale che stiamo già vivendo: servono interventi per tutelare gli ecosistemi terrestri e marini, abbattere le emissioni climalteranti, promuovere un’economia verde, effettuare interventi di adattamento al riscaldamento climatico”.
 
Le lacune del Pniec
Nel quadro di un’azione coordinata da Can Europe in Francia, Germania, Svezia, Italia e Irlanda, l'organizzazione ecologista A Sud e Wwf Italia hanno presentato una denuncia (formale complaint) alla Commissione Europea, per sottolineare l’inadeguatezza del piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) italiano che non rispetta le normative europee e compromette gli obiettivi climatici ed energetici, trascurando l'importanza di una transizione giusta.  Le lacune del Pniec italiano minacciano non solo il raggiungimento degli obiettivi climatici dell'Italia e dell’Unione Europea, ma anche il benessere dei cittadini. Senza piani adeguati, le persone potrebbero affrontare costi energetici più elevati, un deterioramento della qualità dell’aria e gravi conseguenze in termini di salute e riscaldamento climatico.  Il Pniec italiano non prevede misure capaci di rispettare gli obiettivi climatici ed energetici europei, configurando così una violazione della normativa comunitaria. Non solo: il piano punta all’utilizzo di tecnologie che non contribuiscono a realizzare una reale transizione energetica, come la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CSS) e il ritorno al nucleare. Tutte e due false soluzioni al riscaldamento globale. L’altra grande assente è una data precisa per il phase out dai combustibili fossili e una sua pianificazione, mentre restano gli ingenti sussidi ancora dedicati alle fonti fossili, che sottraggono fondi a reali politiche di mitigazione e adattamento. La mancanza di un piano d’uscita dalle fonti fossili ostacola la transizione ecologica e si traduce in crescente vulnerabilità sociale e climatica.
 
Finanziare la biodiversità
Il Wwf esprime preoccupazione per il rinvio della decisione della Cop16 sul meccanismo finanziario del Quadro Globale per la Biodiversità (Global Biodiversity Framework - Gbf). Positivi i passi in avanti su sinergie tra Nbsaps e Ndcs, coinvolgimento delle popolazioni indigene e condivisione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche, ma la Cop di Cali “si è chiusa con l’amaro in bocca per le scarse risorse finanziarie per la natura e un quadro di monitoraggio incompleto”.
 
Il nodo finanziario
A parere del Wwf, “il mancato accordo della Cop16 di Cali su come mettere a disposizione degli Stati le risorse finanziarie per il Gbf allontana l’obiettivo di colmare il gap totale di 700 miliardi annui di finanziamenti necessari per arrestare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2030”.
Due anni fa a Montréal gli Stati si erano impegnati a mobilitare almeno 200 miliardi all’anno entro il 2030 e di accrescere i finanziamenti dei Paesi sviluppati verso i Paesi in via di sviluppo di almeno 20 miliardi entro il 2025 e di almeno 30 miliardi entro il 2030. Si tratta di obiettivi finanziari da raggiungere rapidamente, senza i quali gli Stati meno avvantaggiati difficilmente riusciranno ad adottare e implementare Strategie nazionali adeguate a raggiungere i 23 target del Gbf.
“Alla Cop16 di nuove risorse per la biodiversità se ne sono viste ben poche”, dice l’associazione. “Solo un numero ristretto di Stati sviluppati ha annunciato nuovi contributi a favore del Global Biodiversity Framework Fund (GbfF) che ora conta impegni per 407 milioni di dollari. Una goccia nell’oceano a fronte dei 7000 miliardi che annualmente sono indirizzati ad attività che aggravano il riscaldamento climatico, la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi”.
 
Il commento
Isabella Pratesi, direttrice conservazione del Wwf Italia, dichiara: “Nei giorni drammaticamente segnati dalla catastrofe di Valencia, è scoraggiante constatare che, nonostante esistano framework globali per adottare soluzioni basate sulla natura volte a contrastare alluvioni, inondazioni e disastri generati dalla perdita di biodiversità e dal riscaldamento climatico, e nonostante gli ecosistemi naturali abbiano un ruolo cruciale nell’assorbire CO2 (il principale gas serra), principale responsabile del riscaldamento climatico, la comunità internazionale non riesca a trovare un accordo su come mobilitare i finanziamenti per rendere reali queste soluzioni. A Cali sono stati fatti alcuni passi in avanti sulle sinergie tra le agende globali su clima e natura e sull’equa condivisione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche legate alla biodiversità. Ma senza un adeguato meccanismo di mobilitazione delle risorse finanziarie gli obiettivi del Gbf non possono essere raggiunti. Da italiani, ci preoccupa il disinteresse del nostro Paese su queste importanti sfide globali e sulla necessità di stanziare adeguate risorse per la biodiversità. Un disimpegno che si riflette anche a livello nazionale, in un momento cruciale per l’attuazione dei framework normativi internazionali ed europei per la tutela della biodiversità e il ripristino della natura, considerato che la Legge di bilancio in discussione ignora totalmente questi temi. In un Paese frontiera del riscaldamento climatico come l’Italia, il ripristino degli ecosistemi degradati e l’adattamento al riscaldamento climatico devono essere adeguatamente finanziati per evitare che restino semplicemente dei buoni propositi”.

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