Analisi. Gli effetti di Covid-19 sui produttori emergenti e sull’export italiano
Il Focus è stato elaborato dall’Ufficio Studi Sace-Simest (gruppo CDP), che analizza le prospettive del settore oil&gas alla luce dei recenti shock
Per il settore degli idrocarburi il virus rappresenta uno shock della domanda. Per i paesi produttori il virus amplifica rigidità strutturali storiche: scarsa diversificazione economica, limitata capacità di imporre nuove tasse e stabilità connessa a regimi con limitato pluralismo che sono alle prese con sviluppi istituzionali (Russia e Arabia Saudita in primis). Come già in passato, tuttavia, saranno più facilmente le economie collegate (alcuni paesi centrasiatici e alcuni paesi dell’area del Golfo) a subire il contraccolpo più forte.
È quanto emerge da uno Focus elaborato dall’Ufficio Studi Sace-Simest (gruppo CDP) che analizza le prospettive del settore oil&gas, interrogandosi sugli effetti dell’emergenza dettata dalla rottura dopo tre anni dell’accordo Opec+ tra Russia e Arabia Saudita e il diffondersi di Covid-19 nei mercati di domanda.
Ne emerge un quadro di un comparto già da tempo soggetto a criticità e sbilanciamenti strutturali: sebbene il petrolio continui a rappresentare il fuel of last resort per moltissime economie, la crisi del settore e quella potenziale di alcuni paesi produttori rimane agganciata alla riduzione dei consumi nel medio-lungo termine, che singoli eventi come Covid-19 e la rottura dell’equilibrio Opec+ contribuiscono ad anticipare.
Oltre il 60% dell’offerta globale di greggio proviene attualmente da paesi in cui l’export di prodotti petroliferi rappresenta più della metà dell’export complessivo. Verso questi stessi paesi nel 2019 sono stati diretti 30 miliardi di euro di export italiano. In questo contesto, i rischi principali per le imprese italiane consisteranno verosimilmente nella riduzione delle importazioni da parte delle economie più deboli, nella contrazione degli investimenti pubblici, nella modifica/cancellazione unilaterale di contratti e in probabili restrizioni valutarie. Come effetti collaterali, potrebbero aumentare la violenza politica nei paesi (più che tra paesi) e l’instabilità, soprattutto per quei produttori alle prese con dinamiche di successione al vertice.
Per quanto riguarda il prezzo del greggio, questi shock sono temporanei in un contesto di mercato che già rifletteva squilibri tra domanda e offerta. I fattori che avrebbero dovuto spingere al rialzo nel recente passato (escalation in Medio Oriente, crisi in diversi paesi di seconda fascia come Iran, Libia e Venezuela) rimangono nel mercato come potenziali elementi di spinta ulteriore verso il basso. Al contempo, più del 60% dell’offerta globale di greggio proviene da paesi in cui l’export di prodotti petroliferi rappresenta più della metà dell’export complessivo e per i quali il prezzo di pareggio per il bilancio pubblico è molto superiore rispetto ai livelli attuali. Una media 2020 intorno ai valori del 2016 (43-45 USD/b), ante-accordo Opec+ e con una domanda in rallentamento, rimane quindi lo scenario di riferimento. Le variazioni rispetto a questo scenario rimangono nell’ordine di ±10 USD/b con il caso peggiore (30-35 USD/b) in cui la guerra di prezzo si prolunga nel 2021 e quello migliore (50-55 USD/b, in linea con i valori del primo bimestre 2020) in cui le divergenze tra Russia e Arabia Saudita si ricompongono intorno alla metà dell’anno.
Come già nel periodo 2014-2016, le decisioni dei produttori, tuttavia, non saranno l’unica variabile di prezzo e gli effetti della congiuntura si propagheranno anche in altri settori e in altre aree: potremmo attenderci altre sorprese durante l’anno - motivo per cui è fondamentale affiancare alla spinta per la crescita dei ricavi un’adeguata copertura dai rischi anche verso geografie “insospettabili”.