Eni taglia il dividendo e ferma il buyback
Per effetto dei ribassi del greggio il dividendo scenderà quest'anno da 1,12 euro a 80 centesimi
Il crollo del prezzo del petrolio presenta il conto agli azionisti dell'Eni, costretti a digerire una sostanziosa riduzione del dividendo e lo stop al programma di buyback.
A Londra, dove hanno presentato il primo piano industriale dopo la nomina di aprile dello scorso anno, l'amministratore delegato Claudio Descalzi e la presidente Emma Marcegaglia hanno preso atto di una situazione di mercato senza precedenti, con il prezzo del petrolio che si è dimezzato rispetto allo scorso anno.
Il dividendo quest'anno scenderà da 1,12 euro a 80 centesimi.
"Nel nuovo scenario di prezzi del petrolio, abbiamo ritenuto appropriato ribassare il dividendo per il 2015 in linea con i nostri obiettivi strategici" ha spiegato Descalzi parlando di "scelta giusta", che possiede una logica "a lungo termine" e che non è stata concordata con gli azionisti, Tesoro e Cdp in testa, ma discussa solo con il board che, per l'appunto, rappresenta proprio i soci.
I due azionisti pubblici si troveranno 350 milioni in meno.
Anche il buyback, con cui attraverso varie tranche l'Eni era arrivata allo 0,91% di azioni proprie, "è sospeso" e "si valuterà la sia riattivazione quando i progressi strategici e lo scenario di mercato lo consentiranno".
Da un punto di vista più strettamente operativo, il gruppo petrolifero si vede costretto a ridurre del 17% gli investimenti, che si aggireranno sui 48 miliardi di euro, ma viaggia comunque su numeri confortanti, con una produzione di idrocarburi stimata in crescita del 3,5%, con la previsione di nuove scoperte per 2 miliardi di barili e con un andamento positivo per raffinazione, gas e chimica. Diverso il discorso per Saipem, che ha condiviso la cattiva giornata di Borsa chiudendo in flessione del 5,7%: l'Eni ha ribadito l'intenzione di vendere, ma solo quando le cose andranno meglio e, quindi, quando le condizioni di mercato lo consentiranno. Per questo, la controllata nell'ingegneria, sui cui futuri vertici Descalzi non si è voluto sbilanciare, non rientra nelle dismissioni per 8 miliardi che sono state annunciate oggi.
Nel piano di cessioni salito da 9 a 11 miliardi figurano le quote residue di Snam e Galp, ma probabilmente anche un ulteriore 15% del megagiacimento in Mozambico, per il quale le discussioni sono "in stato avanzato" e che ha riscosso "molto interesse".