Make american energy great again. Analisi. Trump è tornato: ecco quello che ci aspetta
Il nuovo presidente proseguirà la strategia autarchica dello sfruttamento delle risorse energetiche interne a colpi di shale e di Gnl per consolidare il nuovo ruolo di concorrente dei Paesi Opec guadagnata al posto della Russia. Il peso del ruolo dei posti di lavoro perduti. L’incognita dei nuovi dazi sui pannelli solari cinesi
di Roberto Bonafini
Donald Trump è dunque tornato: il più controverso presidente, e il meno sopportato dal mondo green, non solo rimetterà piede alla casa bianca, quattro anni dopo la sconfitta con i democratici e dall’assalto al Campidoglio. Oltre ad annunciare la fine delle guerre in atto e la prosperità infinita per gli statunitensi, si attende ora un suo pronunciamento ufficiale sulla strategia climatica e in materia energetica. Chissà se ora il nuovo presidente deciderà di abbandonare nuovamente il trattato di Parigi sul clima (già passato nel frattempo all’obiettivo dei +2 gradi), come era avvenuto dopo il suo primo insediamento e nel quale Biden è poi rientrato.
e-gazette ha aperto l’archivio e riletto le notizie che ha pubblicato ai tempi del primo mandato, tra il 2017 e il 2020, cercando di capire come si muoverà oggi, tra conflitti internazionali e transizione energetica in evoluzione.
Energy first
Dagli annunci fatti in campagna elettorale e da quello che è già stato fatto, si può già dire che non dovrebbe cambiare molto nella strategia “autarchica” del Trump 2 che punta ad avere più petrolio, gas e carbone nazionale. Duplice l’obiettivo: favorire gli imprenditori amici nella realizzazione di nuovi posti di lavoro in quegli stati in grave crisi (dove un tempo gli operai votavano i democratici) ma soprattutto consolidare il nuovo ruolo americano di produttore globale di gas&oil.
Leggendo il piano energetico “An America first energy plan” del passato mandato per gli anni a venire, si trova tutto il Trump-pensiero sulla questione e difficilmente oggi tutto questo verrà stravolto: “l'amministrazione si impegna in politiche energetiche che ridurranno i costi per i lavoratori statunitensi e per massimizzare l'uso delle risorse statunitensi, liberandoci dalla dipendenza dal petrolio straniero. Dobbiamo approfittare dei circa 50 miliardi di dollari di scisto non sfruttato, in particolare nelle terre federali che gli americani possiedono. Per troppo tempo siamo stati trattenuti dal freno delle normative sull’industria energetica. Abbiamo vaste riserve energetiche interne non sfruttate. L'amministrazione Trump abbraccerà la rivoluzione dello shale oil e dello shale gas per portare posti di lavoro e prosperità a milioni di statunitensi, a cominciare dai giacimenti sulle terre federali”. Non solo anche “nelle tecnologia del carbone pulito e per il rilancio dell'industria del carbone degli Stati Uniti, che è stata danneggiata per troppo tempo”.
Che cosa ha portato? La produzione totale di gas di scisto negli Stati Uniti da gennaio a settembre 2024 è a 81,2 miliardi di piedi cubi al giorno (Bcf/g) (dati Eia). Esso rappresenta il 79% della produzione di gas “secco”. Ad oggi lo shale gas è presente con giacimenti in Texas, Louisiana, Arkansas, Oklahoma, Alabama, Colorado e la famosa Pennsylvania (secondo produttore complessivo e terzo nel carbone) che avrebbe dovuto decidere tutti i destini elettorali. Neppure Joe Biden ha bloccato lo shale. L’ex vicepresidente ha detto agli elettori di questi stati che il fracking “deve continuare”, e ha affermato che “non vi è alcuna logica per eliminarlo proprio ora”. L’industria statunitense del petrolio e del gas contribuisce a sostenere l’economia con circa 10 milioni di posti di lavoro e 100mila ne erano stati pesi a causa del Covid anche grazie alle delle nuove opportunità derivanti dal mercato globale del Gnl che ha reso gli States primo concorrente dei Paesi arabi. Anche la stessa Kamala Harris nelle sue promesse vane è risultata un po’ ambigua sulla questione, inimicandosi così tutto il sostegno ambientalista.
Costruire oleodotti come un tempo
"Da oggi in poi cominceremo a costruire oleodotti negli Stati Uniti come facevamo un tempo", aveva detto il presidente. Ma non è andata esattamente così. Come per i contestati progetti infrastrutturali come il Keystone XL e il Dakota Access. Il primo è stato bloccato da Joe Biden nel primo giorno del suo mandato. Il Keystone XL è un oleodotto lungo 1900 chilometri e dalla capacità di trasporto di 830mila barili di petrolio al giorno, per un costo stimato inizialmente in 8 miliardi di dollari. Avrebbe dovuto collegare la regione canadese dell’Alberta al Nebraska, passando attraverso gli stati di Montana e South Dakota. Conseguenze: per TC Energy, promotore canadese del progetto, la perdita è di oltre un miliardo di dollari e il licenziamento di un migliaio di lavoratori (anche statunitensi).
Per il secondo grande progetto la storia è piuttosto nota per il coinvolgimento di alcuni territori delle aree dei Sioux, in prima linea nelle proteste: il progetto è stato interrotto nel 2021 dopo 11 anni di battaglie legali a causa delle minacce all’approvvigionamento idrico della riserva di Standing Rock nel Nord Dakota. Ma qualche risultato l’elezione di Trump comunque lo portò all’interesse dei petrolieri: il numero delle trivelle petrolifere attive negli Stati Uniti toccò livelli insperati rispetto agli anni precedenti. Non solo, durante il suo mandato Trump decise di accelerare l'approvazione di progetti infrastrutturali energetici rendendo più difficile ai singoli Stati di opporsi alle trivelle firmando due ordini esecutivi e commentando “l’ostruzionismo degli Stati non lede solo le famiglie e i lavoratori ma anche la nostra indipendenza e sicurezza nazionale".
Trump e il gas russo (e l’Europa)
Quando si parla di guerre in atto, e del ruolo degli Stati Uniti in questi conflitti, forse potrebbe essere utile ricordare ciò che il congresso statunitense votò nel 2019: era un pacchetto di leggi che conteneva anche le sanzioni contro il Nord Stream 2, il gasdotto, quasi terminato, avrebbe consentito di raddoppiare le consegne di gas naturale russo in Germania sotto il Mar Baltico aggirando l'Ucraina. Poco più di tre anni dopo, nel febbraio del ’22, l’invasione russa ha portato la guerra in Europa, l’impennata alle stelle dei costi energetici e dell’inflazione, ma anche il quasi completo ridimensionamento dell’export russo e il contemporaneo boom degli Stati Uniti sono diventati il primo esportatore mondiale di gas naturale liquefatto sbalzando dal gradino più alto del podio il Qatar. Secondo molti analisti il primato Usa è destinato a consolidarsi nel 2024 grazie all’entrata in produzione di nuovi terminal di liquefazione. L’Europa resta la principale destinazione delle esportazioni di Gnl statunitense in dicembre, con 5,43 tonnellate, ovvero poco più del 61% del totale.
Trump e il fotovoltaico made in China
L'amministrazione di Donald Trump ha imposto per quattro anni tariffe del 30% sulle importazioni negli Stati Uniti di moduli solari e del 20% su alcuni tipi di lavatrici. "La decisione del presidente conferma, ancora una volta, che l'amministrazione Trump difenderà sempre i lavoratori statunitensi, gli agricoltori, gli allevatori e il business". Agricoltura vs. solare anche nella sterminata America, chissà perché. Le tariffe sono scese progressivamente dal primo anno al 25% nel 2019, al 20% nel 2020 e al 15% nel 2021. L'annuncio ha colpito soprattutto la Cina, principale esportatore di moduli solari negli Usa.
Ma Trump non va d’accordo nemmeno con l’eolico. La Corte suprema britannica ha suo ricorso contro l'installazione di un parco eolico al largo del suo campo da golf nell'Aberdeenshire, nel Nord-Est della Scozia, di fronte alla proprietà da lui acquistata nel 2006 nelle vicinanze di Balmedie. Sostenendo che il progetto avrebbe deturpato il paesaggio e, nella fattispecie, la vista dal campo da golf, Trump aveva portato la questione in tribunale. Il parco eolico scozzese non è l’unico contro il quale si è scagliato Trump: si è opposto anche a un parco eolico da 9 turbine lungo la costa atlantica dell’Irlanda che, come quello scozzese, avrebbe disturbato la visuale ai danarosi ospiti di un suo campo da golf. Tuttavia, è bene ricordarlo, il composito uomo d’affari investe in NextEra, un fornitore di elettricità che si definisce uno dei maggiori produttori al mondo proprio in energia eolica.
Trump e l’Italia
Come è noto, quando è salito al potere Trump in Italia era presidente del Consiglio “Giuseppi” Conte, come Trump ne storpiò il nome. Chissà quanti si ricordano che all’epoca il presidente Usa volle imporre sanzioni contro l’Iran (peraltro già nel mirino anche oggi nei propositi del futuro presidente) punendo le esportazioni di petrolio e che anche Paesi come l’Italia e altri sette Paesi tra cui la Cina, sarebbero stati puniti per un eventuale import di greggio da Teheran. Per evitarlo il governo giallo-verde dell’epoca dovette raggiungere a un accordo che prevedeva l’acquisto di caccia F-35 e la conferma (all’epoca nel mirino del M5S) del Muos, il sistema satellitare installato in Sicilia, “fondamentale per le comunicazioni statunitensi nel Mediterraneo che qualcuno vorrebbe smantellare”.
Ma non furono solo ricatti: la controllata Eni negli Stati Uniti ottenne dall'amministrazione Trump il permesso di esplorazioni petrolifere nelle acque federali al largo dell'Alaska, nel mare di Beaufort. Con il via libera a Eni ripartirono così le operazioni petrolifere nel mar Artico: l'ultima ad aver operato nell'area era stata Shell nel 2015, poi era arrivato il divieto alle trivellazioni nell'Artico di Barack Obama. Non mancarono le polemiche. Com’è finita? Proprio in questi giorni – si veda notizia in pagina - Eni ha perfezionato l’accordo per la cessione a Hilcorp del 100% degli assets di Nikaitchuq e Oooguruk, giacimenti di petrolio detenuti in Alaska per un valore di 1 miliardo di dollari. Per Descalzi e soci ne valeva dunque la pena. Più in generale per Trump rimane l’incognita sulla questione climatica e sul sostegno alle nuove tecnologie pulite, con il nucleare in prima fila. Ci penseranno vecchi e nuovi consiglieri del re come Elon Musk a indicargli la via da seguire anche se, a questo proposito, ci rimane un dubbio: potranno coesistere a lungo le auto elettriche e le trivelle?