Val d’Agri. La storia del poliziotto in guerra contro l’inquinamento
Estromesso e denunciato, l’agente Giuseppe Di Bello è finito a fare il custode in un museo
Aveva denunciato l'inquinamento delle falde acquifere in Basilicata da parte delle multinazionali del petrolio, anticipando di 6 anni l'azione della magistratura e ora, dopo 8 anni e 2 sentenze della Cassazione che gli hanno dato ragione, si trova demansionato a fare il custode di un museo a Potenza. Senza divisa, aggiornamenti professionali, avanzamenti di carriera e a stipendio ridotto.
La storia del poliziotto di provincia Giuseppe Di Bello (nella foto) approda in Senato grazie all'intervento del senatore di Sinistra Italiana Giovanni Barozzino, che sul suo caso ha presentato diverse interrogazioni "rimaste tutte senza risposta". Così, in una conferenza stampa a Palazzo Madama, Di Bello può raccontare la sua storia, tra commozione, rabbia e richiesta di "dignità" che gli deve venire ridata da quelle istituzioni che invece di premiarlo lo hanno messo all'angolo.
Tutto comincia nel 2010, quando "vedendo i sassi delle acque" che era chiamato a controllare, "cambiare colore" e "migliaia di pesci morire", decide di fare dei prelievi per controllare. Tutto a sue spese, "anche per non gravare sulle casse dello Stato" e mentre era in ferie. E quando scopre che quell'acqua che finisce nelle case di milioni di persone tra Basilicata e Puglia è diventata veleno, denuncia. "E da qui - racconta - comincia il mio calvario".
L'assessore regionale del Pd lo denuncia per "procurato allarme", ipotesi di reato che "poi si trasforma in divulgazione di segreto d'ufficio". Affronta il processo e dopo essere stato condannato viene totalmente scagionato "dalla Cassazione che invece riconosce l'utilità della mia azione e della mia denuncia".
Subito dopo la condanna di primo grado viene avvicinato da esponenti del M5S, che prima gli dicono di vedere in lui "un esempio" e poi gli propongono una candidatura. Ma quando lui accetta e supera le primarie ("con il 70% delle preferenze"), Grillo gli telefona e gli dice che siccome è un condannato non si sarebbe neanche potuto presentare.
Così scelgono quello che era arrivato subito dopo di lui. Di Bello incassa e resta lontano dalla politica.
Poi, quando il giudice di legittimità annulla quella condanna, torna alla carica: "Rivoglio il mio lavoro - dichiara commosso - e, ripeto, rivoglio la mia dignità" che invece gli viene negata anche quando riesce a sventare un tentativo di richiesta di pizzo nel bar dove era andato a mangiare. Sul verbale di polizia per l'episodio, subito denunciato da lui e dalla vittima, gli scrivono "ex tenente".
"Ecco, questo mi ha fatto ancora più male - dice - perché io sono un tenente, non un ex, e voglio che almeno questo mi venga riconosciuto". Un tenente da 8 anni chiuso in un museo di Potenza come custode. "Anche se io - avverte - continuo ad essermi e a sentirmi un ufficiale di polizia". E per questo, conclude, "chiedo giustizia". "Cancellare la dignità dai luoghi di lavoro - commenta Barozzino - penso che sia profondamente sbagliato. La sinistra deve tornare a farsi carico di questi problemi e deve tornare a far diventare quello del lavoro il tema principale della propria azione politica".