Nutraceutica, cibi dietetici e integratori valgono in Italia 4,8 miliardi
Entro il 2027 supereranno in tutto il mondo quota 700 miliardi. Italia regina in Europa per vendite di integratori alimentari
In Italia il comparto della nutraceutica e del novel food vale, nel 2020, circa 4,8 miliardi di euro. I dati provengono dall’Area Studi Mediobanca, che ha dedicato un report al mercato che comprende, tra i tanti, quello dell’alimentazione funzionale, di cui fanno parte i cibi “senza” (zuccheri, glutine, lattosio, ecc.) o “arricchiti” con elementi chimici (ferro, magnesio, ecc.), gli integratori alimentari, i cibi vegan, per l’infanzia, la carne sintetica, le farine di insetti, ecc. La parte più cospicua spetta agli integratori alimentari, un mercato in cui l’Italia è regina in Europa e che cresce rapidamente: nel 2020 ha toccato quota 3,8 miliardi di euro (+9,2% sul 2008 e +2,9% sul 2019). La leadership italiana si candida a rimanere tale anche nel 2025, anno in cui potrebbe raggiungere i 4,8 miliardi di euro, con un’ampia superiorità sulla Germania (3,6 miliardi) e sulla Francia (3,1 miliardi). Completano il mercato italiano il comparto della nutrizione specializzata in senso stretto, con ulteriori 700 milioni (400 milioni solo le soluzioni per celiaci) e il baby food (300 milioni di euro nel 2020).
Il peso di diet food e baby food
In tutto il mondo, nel 2021, l’intero settore ha raggiunto un giro d’affari di 500 miliardi di dollari ed è in continua espansione: si stima che entro il 2027 toccherà quota 745 miliardi di dollari, con un tasso di crescita del +6,9% annuo. A brillare è, in particolar modo, il comparto del diet food (il cibo per il controllo del peso), che da solo vale 214 miliardi di dollari (che diventeranno 303 nel 2027), seguito dagli integratori alimentari, un segmento da oltre 150 miliardi di dollari (ben 237 entro il 2027). Bene anche il baby food (il cibo per l’infanzia come gli omogeneizzati) che ha chiuso l’anno con un giro d’affari di oltre 73 miliardi (107 entro il 2027); ottimi numeri anche per il cibo vegano, che vale in tutto 25 miliardi di dollari (che diventeranno 42 entro il 2027, con ritmo di crescita del +9% annuo, il più alto tra tutti).
Il cibo "nuovo"
Nel novel food un capitolo merita il segmento delle proteine alternative a quelle di derivazione animale. A livello mondiale, entro il 2035 passerà dall’attuale 2% all’11% del mercato complessivo delle proteine, per un valore attorno ai 290 miliardi di dollari. La nuova frontiera dell’alimentazione è rappresentata dalla carne sintetica. Attualmente in questo segmento operano circa 100 start up che nel 2020 hanno raccolto capitali per 370 milioni di dollari, sei volte l’ammontare raccolto nel 2019. Complici le tante sfide che dovrà affrontare, le proiezioni sul comparto sono molto volatili (tra i 5 i 25 miliardi di dollari al 2030). Infine, l’industria mondiale degli insetti: si prevede un aumento del valore fino a circa 1 miliardo di dollari nel 2023 per poi arrivare a 4,6 miliardi di dollari nel 2027, con un tasso di crescita medio annuo del 44%.
Sull’importanza del novel food per il pianeta
Secondo alcune stime, la filiera alimentare è responsabile del 26% delle emissioni di gas serra (GHG) e di tale quota il 50% è riferibile alle attività di allevamento (a causa della deforestazione e della produzione di metano dai processi digestivi degli animali). Anche le risorse idriche sono fortemente sollecitate dalle attività agricole e di allevamento: il consumo di acqua dolce è per il 92% riferibile a esse, e solo l’8% finirebbe assorbito dai consumi industriali e umani. Ugualmente impegnativo è l’uso della terra: il 50% di quella abitabile è adibito ad attività agricole e di esso il 77% è destinato all’allevamento. La filiera della produzione, lavorazione e trasporto di carne e uova dà conto del 56% delle emissioni, quella lattiero casearia del 27%, il resto si riferisce essenzialmente a frutta e vegetali che, quindi, sono assai meno impattanti. L’ipotetica sostituzione nel 2035 della carne animale e delle uova con i loro surrogati vegetali porterebbe a una riduzione di emissioni pari a quelle prodotte in un anno dal Giappone. Ciò in quanto i sostituti vegetali comportano emissioni pari a un ventesimo di quelle relative alla carne bovina da allevamento, a un decimo di quella avicola e a un nono di quella suina.