Water Management Report: stanziati 12,7 miliardi in ambito civile in 4 anni, ma solo il 35% è stato speso
Presentata la seconda edizione dello studio condotto dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano. Analizzati anche gli ambiti industriali
In Italia, in ambito civile, nel 2018 sono stati messi a piano circa 3,5 miliardi di investimenti in soluzioni e tecnologie per il water management, il 10% in più dell’anno precedente, e nel 2019 ci si è impegnati a spendere una somma analoga, in gran parte coperta tramite tariffa. Purtroppo, però, solo il 35%, pari a 800 milioni di euro, è stato effettivamente speso al momento e per il quadriennio 2016-2019 si prevede una percentuale di realizzazione analoga, ossia una spesa tra i 3,2 e i 4,4 miliardi di euro sui 12,7 previsti. Se poi si guarda al numero di progetti, sono pochissimi quelli messi a piano nel quadriennio che sono stati già completati (il 5%, con l’unica eccezione del Trentino-Alto Adige, che ne ha già completati il 67%), mentre quasi il 50% non è ancora stato avviato. Le situazioni più critiche si riscontrano in Toscana, Lazio e Sicilia.
È la fotografia a luci e ombre che viene delineata dal Water Management Report, redatto dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, giunto alla sua seconda edizione. Nessuno mette più in discussione che si debba investire in infrastrutture e processi che riducano al minimo gli sprechi e preservino e monitorino le caratteristiche e la qualità dell’acqua che viene impiegata. Tuttavia, questa sensibilità ancora non si traduce in fatti e cifre consistenti.
Certo, il panorama è complesso e le questioni da affrontare sono molteplici: la normativa di settore, soprattutto per quanto riguarda il comparto civile, rispetto al quale si sta mettendo in discussione la possibile coesistenza “virtuosa” di pubblico e privato a favore di un ritorno al controllo esclusivo dello Stato; la sempre maggiore necessità di monitorare e controllare tutte le fasi di trasformazione e impiego del ciclo dell’acqua, sulla scorta di quanto già si fa per energia e gas; la difficoltà, sia per il comparto civile che per quello industriale, di trovare il giusto equilibrio tra le esigenze economiche degli investimenti e la natura e le tempistiche delle concessioni o degli impieghi di processo che andrebbero efficientati.
Il Report, a cui ha collaborato un numero ancora superiore di partner rispetto alla prima edizione, ha richiesto uno sforzo empirico molto significativo di raccolta ed elaborazione di informazioni “di prima mano” da operatori e grandi utilizzatori di acqua. Il focus è ancora sugli utilizzi civili e industriali della risorsa idrica, lasciando per il momento “a secco” il comparto dell’agricoltura.
Sono state mappate le principali tecnologie e soluzioni disponibili per il water management lungo l’intero ciclo dell’acqua: dalla captazione alla depurazione pre-impiego, dall’impiego al trattamento delle acque reflue e la re-immissione in ambiente, senza dimenticare il ruolo dei sistemi di controllo e misura. Ciascuna di queste macro-fasi è stata analizzata mettendo in evidenza le alternative tecnologiche oggi disponibili sul mercato e la loro possibilità di impiego. Nel complesso sono stati identificati 4 cluster tecnologici fondamentali - la componentistica di base, i trattamenti, la componentistica elettrica ed elettro-pneumatica, i sistemi di controllo e misura - a cui corrispondono oltre 450 imprese, per 65.000 addetti e un fatturato complessivo di oltre 22 miliardi di euro.
Il water management per i gestori del servizio idrico - Qual è la propensione all’investimento nel water management da parte degli operatori del servizio idrico, ossia coloro che gestiscono l’acqua per usi civili? Per rispondere alla domanda è stata realizzata una survey indirizzata ai gestori. Dai risultati emerge molto chiaramente un’elevata dispersione media delle reti di acquedotto in Italia, che cresce con la dimensione del gestore: si passa infatti dal 10%-15% per chi serve meno di 50.000 abitanti ad oltre il 40% per chi ne serve più di 1.000.000.
Ciò è dovuto sicuramente all’arretratezza dell’infrastruttura idrica, in cui i materiali più innovativi, come acciaio e polietilene, compongono il 74% della rete dei piccoli gestori e solamente il 46% di quella dei grandi. Nella maggior parte dei casi, poi, si tratta di reti miste, dove la parte in acciaio o polietilene è utilizzata per riparazioni/rifacimenti/ampliamenti di una rete originaria ancora in materiali meno performanti. Questo è tanto più vero quanto più ampia è la rete gestita.
Tuttavia, l’80% del campione ha realizzato investimenti nel corso del 2017: larga parte di essi sono stati sostenuti dai gestori di grandi dimensioni, che mediamente hanno investito oltre 90 milioni di euro. Se si analizza la cifra media pro-capite (in €/abitante residente), si nota una forte crescita all’aumentare della dimensione del gestore, probabilmente dovuta alla maggiore possibilità di reperire il capitale necessario.
Circa il 70% del campione ha introdotto sistemi di misura e monitoraggio in diverse fasi del ciclo idrico, in particolare nella distribuzione (90%), con l’obiettivo di valutare lo stato di conservazione delle reti (68%), oppure per fare manutenzione preventiva. L’80% prevede poi di effettuare investimenti anche nel 2019: tra questi, oltre la metà (61%) pensa di aumentare la cifra, il 25% di mantenerla costante e il 14% di diminuirla.
Il risultato della survey è stato poi messo a confronto con i piani di investimento dichiarati, rielaborando i dati messi a disposizione da ARERA e dai bilanci di esercizio dei singoli gestori.
Complessivamente, nel 2018, sono stati messi a piano investimenti in soluzioni e tecnologie per il water management per circa 3,5 miliardi di euro, in crescita del 10% rispetto all’anno precedente. Inoltre, ad oggi risultano ulteriori impegni di spesa sul 2019 per 3,4 miliardi di euro. Gran parte degli investimenti è coperta tramite tariffa, solo una parte minore (tra il 20% e il 25%) da finanziamenti pubblici.
In valore assoluto, gli investimenti si ripartiscono quasi uniformemente sulla Penisola, mentre se si guarda a quelli annuali pro-capite (in €/abitante) si nota una maggiore disparità: nel Nord-Ovest l’investimento è di poco superiore ai 40 €/ab., al Centro arriva a quasi 60 €/ab., nel Nord-Est, Sud e Isole ai 50-55 €/ab., per via della maggiore necessità di effettuare interventi in queste aree.
Il periodo 2016-2019 è stato caratterizzato da una forte crescita degli investimenti da parte dei gestori del Servizio Idrico Integrato, anche grazie all’incrementata possibilità di proporre investimenti con ricadute sulle tariffe. La Proposta di legge 52, attualmente in discussione, si propone si riportare il Servizio Idrico Integrato interamente sotto il controllo pubblico, eliminando sia le gestioni di imprese private che quelle delle società per azioni anche quando pubbliche, il 95% del totale.
“Questo ritorno alla gestione pubblica è giudicato come non privo di rischi da parte degli operatori - commenta Vittorio Chiesa, Direttore responsabile dell’Energy & Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano -, sia perché questo significherebbe perdere l’autonomia gestionale degli investimenti e l’ottica industriale con cui si sono affrontati nell’ultimo periodo, sia soprattutto perché verrebbero meno in larga misura gli aspetti di aggregazione, e quindi scala, che l’evoluzione dei gestori di ATO ha garantito. Non si vuole sostenere ovviamente che la soluzione indicata nella Proposta di legge 52 non sia percorribile, ma certo introdurrebbe una complessa gestione del transitorio (forse non sufficientemente ponderata) e una maggiore incertezza sull’esito del processo. Tuttavia, è indubbio che esista oggi un problema di effettiva realizzazione degli investimenti da parte dei gestori: a metà 2018 quasi il 50% non è ancora stato avviato, con le situazioni più critiche che si riscontrano in Toscana, Lazio e Sicilia”.
La discrepanza è ancora più evidente se si guarda il valore in euro dei progetti. Gli investimenti già sostenuti o in corso ammontano a quasi 800 milioni di euro, cioè solo il 35% del totale messo a piano. In buona sostanza oggi si può immaginare di portare a compimento nel quadriennio il 25-35% degli investimenti, ossia tra i 3,2 e i 4,4 miliardi di euro sui 12,7 previsti.
Il water management per gli utilizzatori industriali - Analoga indagine è stata condotta presso gli utilizzatori industriali. La survey ha coinvolto 151 operatori, rappresentativi in particolare di 4 settori (gomma e plastica, carta, tessile e alimentare), con un consumo complessivo di acqua di 155 Mm3/anno. Mediamente, nel campione di analisi le perdite idriche ammontano a circa il 5,5%, anche se nel 20% dei casi superano il 10%: è l’alimentare il settore più virtuoso (2,6%), negli altri tre settori si va dal 5,5 al 6,5%.
Quasi metà del campione dichiara di riutilizzare meno del 20% dell’acqua in ingresso, mentre il 29% ne riutilizza oltre l’80%, con grandi differenze da settore a settore. Il 51% ha una figura preposta alla gestione della risorsa idrica (il 60% delle grandi aziende e il 36% delle PMI), tuttavia una figura specializzata è presente solamente nel 16% delle imprese che hanno dichiarato di avere un vero e proprio hydro manager. Chi più spesso se ne occupa infatti il Plant Manager, indicato nel 36% dei casi, seguito dall’Energy Manager (32%). Meno rappresentato il Facility Manager (12%).
La survey evidenzia un’attenzione minore nei confronti degli investimenti in efficientamento rispetto a quella rilevata nel comparto civile: solamente il 33% degli intervistati li ha effettuati; tra chi non li ha effettuati, il 33% non li ritiene affatto necessari (probabilmente anche per il ridotto costo della risorsa acqua ai fini industriali), mentre un altro 24% non li considera economicamente sostenibili.
Tra i diversi settori è l’alimentare quello in cui più aziende investono nella risorsa idrica (57%). Superiore alla media anche la carta (45%), in linea il tessile, mentre la “maglia nera” va a gomma e plastica, dove il valore scende al 20%. Gli investimenti effettuati si ripartiscono in modo abbastanza uniforme nelle diverse fasi del ciclo idrico: l’80% del campione ha introdotto sistemi di misura delle quantità di acqua utilizzata e/o dispersa, a dimostrazione del crescente interesse per questa tematica. Infine, le previsioni di investimento sono decisamente positive: il 55% degli intervistati prevede di effettuare interventi nel prossimo triennio (nel 36% dei casi con una quota maggiorata).
Il potenziale di mercato del water management in Italia - Ma qual è il potenziale di mercato del water management in Italia? Nel comparto civile, gli investimenti messi a piano nel biennio 2018-2019 dovrebbero toccare quota 3,5 miliardi di euro l’anno, quasi il doppio rispetto ai 2 degli anni precedenti. Un livello che tuttavia non è ancora sufficiente a colmare il gap con il resto d’Europa, per il quale si ritengono necessari circa 5 miliardi di €/anno per i prossimi 20 anni.
Nel Rapporto si sono previsti due possibili scenari: lo scenario “low”, nel caso persista l’incertezza normativa con una diminuzione degli investimenti (-18% rispetto al quadriennio 2016-2019, cioè circa 2,7 miliardi di €/anno, tornando sui livelli del 2016), oppure quello “high”, che prevede un quadro normativo più stabile e, con l’entrata in vigore del periodo regolatorio 2020-2023, un aumento ulteriore degli investimenti rispetto al 2019, pari a circa 4,2 miliardi di €/anno.
Si tratterebbe in ogni caso di un ulteriore balzo dal quadriennio di regolazione precedente a quello in corso, con investimenti del 35% superiori nello scenario low e più che doppi nello scenario high. In buona sostanza - a meno di modifiche normative che mettano in discussione le fondamenta di questa modalità di gestione - si tratta di un passo verso la direzione giusta.
Tuttavia, i numeri si riferiscono al totale messo a piano dai gestori, a cui però va applicato il “fattore di realizzazione”, a oggi stimato al 30%: se rimanesse invariato, il mercato sarebbe di circa 1 miliardo di €/anno, se passasse dal 30 al 50% potrebbe salire a 1,7 miliardi di €/anno, se si riuscisse ad arrivare all’80% si raggiungerebbero 2,8 miliardi di €/anno in media. È evidente, insomma, come non sia importante solamente puntare sull’incremento degli investimenti, ma anche sull’effettiva realizzazione degli stessi.
Per quanto riguarda invece il comparto industriale, allo stato attuale gli investimenti annuali relativi alla risorsa idrica ammontano mediamente a 0,7 €/m3: se tutte le imprese che consumano acqua investissero questa cifra si otterrebbe un mercato di quasi 4 miliardi di euro all’anno, persino superiore a quello relativo al comparto civile. Tuttavia, considerando anche il “tasso di pervasività”, ipotizzabile intorno al 25%, si può stimare un mercato reale inferiore al miliardo di euro all’anno.
In uno scenario invece “high”, dove la pervasività salisse al 35%, il mercato reale del water management nel comparto industriale arriverebbe a circa 1,6 miliardi di euro, oltre il 50% in più rispetto ad oggi. La crescita pare tuttavia lenta perché l’acqua è ancora piuttosto economica e questo limita la convenienza degli interventi da un punto di vista prettamente finanziario. Se ciò è vero per i settori analizzati, che sono tra quelli con i consumi maggiori di acqua, lo è a maggior ragione per gli altri.