Animalìe. La strage dei visoni allevati, 17 milioni abbattuti in Danimarca causa coronavirus
Si è scoperto che 214 persone sono state infettate da virus trasmesso dai visoni, delle quali 12 dal ceppo di coronavirus mutato. Le proteste di Lav e Wwf contro gli allevamenti. L’industria delle pellicce
In Danimarca lo Statens Serum Institut, l’istituto sierologico statale che si occupa di malattie infettive, ha trovato da giugno 214 persone infette da ceppi di coronavirus legati ai visoni; finora, però, sono solo 12 le persone interessate dal ceppo mutato, che è stato trovato in cinque allevamenti ed ha spinto il Paese ad abbattere milioni di animali. In Danimarca si allevano circa 17 milioni di esemplari. I visoni, come i furetti, presentano recettori di membrana molto simili a quelli umani e per questo sono, come noi, sensibili all’infezione da SARS-COV-2. Quando migliaia di individui sono rinchiusi in spazi ristretti, come i visoni allevati, il virus circola più velocemente e aumenta la sua probabilità di mutazione, trasmettendo nuovi ceppi alla popolazione umana e rischiando di rendere inefficace il vaccino in fase di sviluppo. Per questo le autorità danesi hanno deciso di abbattere tutti i visoni allevati nel paese, il primo esportatore mondiale di pellicce di visone.
L’ordine di sterminio
Con una decisione presa "non a cuor leggero" la premier Mette Frederiksen ha ordinato che tutti gli esemplari di visone presenti negli oltre 1.100 allevamenti vengano uccisi. "Il prima possibile", gli ha fatto eco il capo della polizia nazionale Thorkild Fogde.
E così è stato: la mattanza è iniziata con i dipendenti dell'amministrazione veterinaria e alimentare e dell'Agenzia danese per la gestione delle emergenze che - muniti di tute protettive e maschere antigas - hanno cominciato a gasare i visoni a Gjol, nello Jutland settentrionale. In quest'area ben 207 allevamenti sono stati infettati. L’Oms ha fatto sapere di "essere in contatto con le autorità danesi per saperne di più".
I primi casi in giugno
I primi casi di SarsCov2 negli allevamenti della zona erano stati rilevati a metà giugno.
Lo scorso primo ottobre le autorità danesi avevano deciso di eliminare tutti gli animali infetti e gli allevamenti nel raggio di 7,8 chilometri, ma evidentemente non è bastato. Per 280mila persone che vivono nello Jutland sono scattate restrizioni speciali: la premier li ha "fortemente incoraggiati a non spostarsi per evitare la diffusione del virus" e al contempo ha ordinato la chiusura di bar e ristoranti dell'area.
La presenza di questa mutazione trasmessa dai visoni all'uomo è importante non solo per la Danimarca, rileva Herve Bercovier, professore di Microbiologia dell'università di Gerusalemme, il quale ricorda che "casi di Covid-19 sono stati segnalati finora anche negli allevamenti di Olanda, Spagna, Usa e Svezia". Con la consapevolezza che "il virus mutato può avere conseguenze devastanti in tutto il mondo", la premier Frederiksn ha preso una decisione che avrà conseguenze pesantissime per la Danimarca, che è il secondo produttore mondiale di pellicce di visone dopo la Cina.
Allevare visoni, un’industria
La sola Kopenhagen Fur, una cooperativa di 1.500 allevatori danesi con sede a Glostrup, rappresenta il 40% della produzione mondiale delle pellicce di questi esemplari. Secondo le stime del Governo di Copenaghen, l'abbattimento dei 17 milioni di visoni del Paese potrebbe costare fino a 5 miliardi di corone, quasi 800 milioni di dollari.
Protesta la Lav
La decisione adottata dai danesi ha indotto l'associazione animalista Lav (Lega antivivisezione) ad appellarsi nuovamente al Governo italiano affinché insieme agli esperti del Comitato Tecnico Scientifico "decida finalmente di vietare definitivamente in Italia l'allevamento di visoni e di animali per la produzione di pellicce".
Il Wwf: ripensare il modello
Protesta il Wwf Italia: “Lo stesso era successo in occasione dei due più recenti episodi di influenza aviaria del 2003 e 2013, lo stesso per l’influenza suina del 2009. Animali sfruttati per la nostra alimentazione e tenuti in condizioni insostenibili e disumane, diventano focolaio di vecchie e nuove malattie zoonotiche (malattie trasmesse dagli animali all’uomo). Considerando inoltre che per produrre i foraggi degli allevamenti intensivi distruggiamo ecosistemi naturali, cruciali per il nostro benessere, stiamo creando il mix giusto per la tempesta perfetta”. Per il Wwf “è arrivato con urgenza il momento di ripensare i nostri modelli di produzione intensiva che riguardano sia l’allevamento sia l’agricoltura, oltre al traffico di specie selvatiche. È infatti stato appurato che la deforestazione per fare spazio a nuove colture favorisce il contatto con nuove specie selvatiche e relativi patogeni, che quando giungono in contesti affollati, come mercati e allevamenti intensivi, possono facilmente compiere il salto di specie e giungere all’uomo”.