Coronavirus e smog. Le ipotesi a confronto e le emergenze dimenticate
Diversi studi ipotizzano un ruolo dell’inquinamento atmosferico nel coronavirus come acceleratore e vettore. Le emergenze smog in Pianura Padana, le proteste a Wuhan, le piogge artificiali in Corea e in Iran, dove già nel 2016 si era deciso di chiudere le scuole
La scienza è divisa e alla ricerca di una risposta. L’inquinamento atmosferico può avere giocato un ruolo importante nella genesi e nella diffusione del nuovo coronavirus? Le polveri fini come il Pm10 sono divenute, in Pianura Padana, fattore di impulso alla diffusione virulenta? Sono quesiti che climatologi, esperti di inquinamento dell’aria e scienziati di diverse discipline si stanno ponendo e ai quali oggi, dati alla mano, è difficile dare risposte puntuali.
Il caso di discussione scientifica più interessante e vicino a noi interessa il position paper della Società italiana di medicina ambientale (forse lo smog contribuisce alla diffusione del virus), documento molto ripreso e rilanciato dalla stampa, poi contestato dalla Società italiana di aerosol (non ci sono elementi per dire se lo smog contribuisce alla diffusione del contagio). Ecco alcuni elementi di approfondimento.
Il position paper
Nei giorni scorsi, un gruppo di ricercatori della Società italiana di medicina ambientale (Sima) insieme con le università di Bologna e di Bari ha pubblicato un position paper, ovvero non uno studio giunto a conclusione ma una tesi iniziale da dimostrare o smentire con un successivo lavoro di studio. Secondo l’ipotesi da dimostrare, gli studiosi ipotizzano che vi sia una correlazione tra le polveri fini e la diffusione del virus in pianura padana.
A Brescia, Bergamo e Cremona in gennaio sono registrati avuto valori tripli rispetto al consentito per Pm10, e Piacenza ha avuto 11 giorni su 14 fuori norma.
Oltre a essere un terreno fertile per complicazioni respiratorie, le polveri sospese sembrano essere anche straordinario acceleratore, almeno secondo il position paper della Sima che ha esaminato i dati pubblicati sui siti Arpa, relativi a tutte le centraline di rilevamento sul territorio nazionale, insieme ai casi di contagio riportati dalla Protezione Civile. I ricercatori hanno ipotizzato che "alte concentrazioni di polveri fini a febbraio in Pianura Padana hanno esercitato un'accelerazione anomala alla diffusione virulenta dell'epidemia". Qui "si sono osservate le curve di espansione dell'infezione che hanno mostrato accelerazioni anomale, in evidente coincidenza, a distanza di 2 settimane, con le più elevate concentrazioni di particolato atmosferico, che hanno esercitato un'azione di boost, cioè di impulso alla diffusione virulenta dell'epidemia", scrive Leonardo Setti, ricercatore del dipartimento di Chimica dell'Università di Bologna. Le polveri sottili, aggiunge Gianluigi de Gennaro, ricercatore al dipartimento di Biologia dell'Università di Bari, "stanno veicolando il virus”.
Esperienze nel mondo
Già il Lancet Countdown report 2019 parlava di associazione tra i cambiamenti climatici a un’aumentata diffusione delle patologie infettive, prime fra tutte febbre dengue, malaria e Vibrio cholerae. I nemici dei nostri polmoni sono tra gli altri particolato, biossido di azoto e ozono e tante altre sostanze presenti nell’aria in molti dei principali Paesi coinvolti nella pandemia: dalla Cina, dove i cittadini di Wuhan, negli anni passati, protestavano contro l’inquinamento, alla Corea del Sud che puntava sulle piogge artificiali. In Iran già quattro anni fa si erano dovute chiudere le scuole per lo smog.
Il particolato come vettore
Si sa che alcuni virus viaggiano anche portati dal vento, come nel caso del virus del morbillo, rispetto al quale pare che il virus di questa polmonite sia meno volatile.
Tra le migliaia di vittime del Covid-19 l'insufficienza respiratoria è la complicanza più comunemente osservata: il 97,2% di casi sulla base dell’evidenze raccontate quotidianamente dall’Istituto Superiore di Sanità. Si tratta soprattutto i soggetti fragili con due o più patologie ad essere nel mirino, laddove quelle più diffuse sono quelle degli apparati cardiovascolare e respiratorio. Uno studio del 2003 sulle vittime della Sars - un altro tipo di coronavirus - ha dimostrato, ad esempio, che i pazienti nelle regioni con livelli più alti di inquinamento atmosferico avevano l'84% di probabilità in più di morire rispetto a quelli nelle regioni con basso inquinamento. A sostenere la stessa tesi, dell’impatto cioè sull’organismo di un alta esposizione allo smog, specie nei soggetti più fragili, è anche Sara De Matteis, docente di Medicina ambientale e del lavoro presso l'Università di Cagliari e membro del Comitato per la salute ambientale dell'European Respiratory Society, che aderisce all’European Public Health Alliance, un organismo non a scopo di lucro. “I pazienti con patologie polmonari e cardiache croniche causate o peggiorate dall'esposizione a lungo termine all'inquinamento atmosferico sono meno in grado di combattere le infezioni polmonari e hanno maggiori probabilità di morire”.
In effetti, secondo alcune stime si ipotizza che in Europa ogni anno 400mila persone perdano la vita per colpa dell’inquinamento atmosferico (più di 60mila in Italia).
Gli esperti di smog: parziale e prematuro ipotizzare rapporto diretto tra polveri sottili e CoVid-19
Più cauti gli scienziati che studiano lo smog. La Società italiana aerosol (Ias), la quale riunisce gli esperti che studiano le particelle disperse nell’aria, ha pubblicato un documento firmato da 70 scienziati di vari enti e istituzioni: Cnr, Infn, Enea, Arpa di Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte, Università di Bologna, Roma La Sapienza, Milano, Milano-Bicocca, Padova, Firenze, Venezia, Torino, Napoli Federico II, Genova, Modena-Reggio Emilia, Ferrara, L'Aquila, Salento e Basilicata, oltre che da ricercatori italiani impegnati in Spagna, Finlandia e Regno Unito. L'intera società scientifica, si legge nel documento, è "unanime nel valutare come parziale e prematura l'affermazione che esista un rapporto diretto tra numero di superamenti dei livelli di soglia di polveri sottili e contagi da covid-19". Un eventuale effetto dell'inquinamento sul coronavirus, dunque, è "allo stato attuale delle conoscenze un'ipotesi che dovrà essere accuratamente valutata con indagini estese e approfondite". Allo stesso modo, Ias sottolinea come "la proposta di misure restrittive di contenimento dell'inquinamento come mezzo per combattere il contagio sia, allo stato attuale delle conoscenze, ingiustificata, anche se è indubbio che la riduzione delle emissioni antropiche, se mantenuta per lungo periodo, abbia effetti benefici sulla qualità dell'aria e sul clima e quindi sulla salute generale".
Il commento della Regione Lombardia
“Ad ora non è stato dimostrato alcun effetto di maggiore suscettibilità al contagio al COVID-19 dovuto all’esposizione alle polveri atmosferiche”. L’assessore all’Ambiente di Regione Lombardia Raffaele Cattaneo parte da una nota della Società Italiana di Aerosol (IAS) per invitare a “non diffondere informazioni allarmanti”.
“Voglio smontare una correlazione semplicistica - aggiunge Cattaneo, spiegando che nonostante la drastica riduzione del traffico nelle province di Pavia, Lodi e Cremona sono stati superati i valori limite di 50 microgrammi per metro cubo di pm10. - Anche qui c'è bisogno di indagini più approfondite, Arpa sta verificando i dati, è un’occasione - conclude l’assessore - per capire l’effetto delle varie attività sull'inquinamento".
Altri scenari. La Cina, Iran, la Corea e noi
“Stagione invernale, riscaldamenti, qualche giornata di bel tempo: è bastato poco a scatenare il mix di epidemia influenzale, allarme polmoniti, sovraccarico dei pronto soccorso, picchi di smog. Tutte componenti attese e facilmente prevedibili, alcune più facilmente limitabili, come l’influenza, grazie al miglioramento delle campagne vaccinali, altre di più difficile gestione come l’inquinamento. Il particolato e gli ossidi di azoto, oltre alle note azioni sull’apparato cardio-vascolare e su tutto il nostro organismo, aprono la strada alle infezioni respiratorie”. Così si apre un articolo del 10 gennaio scorso pubblicato su un sito che si occupa di patologie polmonari di Sergio Harari, editorialista del Corriere ma soprattutto direttore dell'Unità Operativa di Pneumologia dell'Ospedale San Giuseppe di Milano, un centro di eccellenza nella cura di malattie rare polmonari sia interstiziali che vascolari.
Harari ci ricorda che “l'azione lesiva dell'inquinamento sull'apparato respiratorio può favorire e aprire la strada all'ingresso di virus in generale, compreso quello influenzale; può inoltre causare un perdurare dello stato infiammatorio. L'interazione tra virus e inquinanti può infatti ritardare i processi di guarigione e aumentare il numero di complicanze (bronchiti, polmoniti, asma)”.
La mascherina, specie nelle metropoli cinesi, è da tempo un capo d’abbigliamento da indossare per passeggiare in strada contro lo smog killer anche senza il coronavirus. I dati parlano chiaro: un milione di morti sono attribuibili all'inquinamento atmosferico ogni anno, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità.
In Cina, circa 316.000 adulti sono morti nel 2010 a causa di malattie respiratorie causate o aggravate dall'inquinamento da ozono, secondo uno studio sull'esposizione a lungo termine all'ozono pubblicato nel 2017 dalla rivista Environmental Health Perspectives.
Proprio a Wuhan, la città dell’Hubei responsabile del contagio globale, nel luglio scorso si sono registrate inusuali vibrate proteste della popolazione, raccontate dalla CNN che si batteva contro la realizzazione di un impianto di incenerimento rifiuti. Migliaia di persone, preoccupate per l’inquinamento che si sarebbe generato, erano scese in strada della città per due settimane chiedendo la sospensione dei lavori all’impianto, poi avvenuta, e creando un clima di forte tensione, piuttosto inedita, tra la città e Pechino.
Situazione ancora più emblematica, invece, in Iran, altro Paese fortemente colpito, nel quale le scuole furono chiuse già a fine 2016 a causa dell’inquinamento : secondo i dati diffusi dalle autorità, a causa dell'inquinamento atmosferico furono accertate nella capitale Teheran 412 morti di cittadini, in 20 giorni, dal 22 ottobre al 13 novembre. Il livello di inquinamento dell'aria, secondo quanto riferito dalle autorità, superò di oltre tre volte i valori della soglia di guardia.
In Corea del Sud, invece, esattamente un anno fa, nel marzo 2019 scoppiò un’emergenza smog a causa dei livelli di inquinamento da polveri sottili specie nella capitale Seul e nelle aree limitrofe, tanto che il presidente della Corea del Sud Moon Jae-in ottenne un extra budget per combattere il problema invitando la popolazione a uscire con la mascherina. Il presidente coreano avrebbe anche proposto un progetto congiunto con la Cina per ripulire l'aria di Seul utilizzando pioggia artificiale.
E nel Nord Italia? Il 29 gennaio scorso Arpa Lombardia scriveva: "Aumentano le concentrazioni di PM10 in gran parte della Lombardia: i nostri dati rilevati dalla rete di monitoraggio hanno registrato ieri, nella gran parte delle stazioni lombarde e per il nono giorno consecutivo, superamenti significativi del limite giornaliero previsto dalla direttiva europea (50 microgrammi). Milano con oltre il doppio e Bergamo, Brescia Cremona con quasi il triplo del consentito”.
Stessa sorte anche in Emilia-Romagna dove i dati Arpa nella seconda metà di gennaio mostrano il superamento dei limiti Pm10 soprattutto a Piacenza (11 giorni su 14) e nelle città della parte più occidentale (Parma, Reggio e Modena). In Veneto? Nelle prime tre settimane del 2020 Treviso ha superato per 19 giorni i limiti di Pm10, seguita da Venezia e Padova con 18, Vicenza con 17 e Rovigo e Verona con 15.
Il fattore meteo
Il ristagno dell’aria è un fenomeno tipico del Nord Italia in presenza di condizioni invernali stabili di alta pressione. Se non soffia il vento, l’inquinamento rimane intrappolato dalle catene montuose. A questo proposito è stata registrata una diminuzione delle concentrazioni di PM10 e NO2 tra il 26 e il 27 febbraio grazie ad un significativo episodio di Fohn, il famoso vento caldo di caduta, che ha contato molto di più nel ripulire l’aria rispetto alla riduzione del traffico motorizzato indotta dopo due settimane dall’emergenza. Ma anche avere vento mite a fine febbraio non è consueto, anzi proprio nei primi mesi dell’anno si hanno condizioni di circolazione dell’aria più sfavorevoli, al contrario dei mesi primaverili più dinamici. Quanto poi alla pioggia, che trascina a terra le polveri, è in corso una siccità importante e il livello idrometrico del Po ha raggiunto la soglia d'allarme, tanto da essere basso come in piena estate, con un livello di -2.4 metri sul Ponte delle Becca, lo stesso di metà agosto 2019. Le temperature miti, che hanno portato a fioriture estremamente precoci, hanno ridotto le emissioni provenienti dagli impianti di riscaldamento.
Conclusioni
Come era facile prevedere visto il blocco, la Pianura Padana ha ridotto un poco le emissioni e ciò rallenta i tempi di accumulo degli inquinanti.
Il ruolo di vettore svolto dalle particelle inquinate in grado di trasportare virus evidenziato dai primi studi attende altre conferme, ma tante anomalie e incognite prevedono riscontri all’ipotesi: ci sono, ad esempio, aree molto inquinate poco contagiate (in Lombardia ad esempio le vicine province di Mantova e Monza-Brianza o Bologna, con un numero limitato di casi rispetto alla popolazione) e aree a basso inquinamento e alto contagio, come l’area adriatica che va da Rimini a Pesaro.
La lezione che dovremo imparare di questi tempi è che, forse, la sfida del taglio globale delle emissioni - sul cui destino dopo il Coronavirus in molti vedono nubi pesanti - non riguarda solo ghiacciai, temperature calde o mari che si innalzeranno in futuro, ma le nostre scelte quotidiane.