Quelli del no. Greenpeace, Legambiente e Wwf Italia contestano le stime del piano antitrivelle
Pitesai: le 37 istanze rigettate a fine marzo sono solo permessi di ricerca e non concessioni estrattive, pozzi o piattaforme
“Non si strumentalizzi l’attuale crisi energetica e il Pitesai, il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee entrato in vigore nel febbraio 2022. Le 37 istanze rigettate a fine marzo sono solo permessi di ricerca e non concessioni estrattive, pozzi o piattaforme. Nessuno dei titoli in questione al momento e nei prossimi anni produce o produrrebbe gas”. È quanto sottolineano Greenpeace Italia, Legambiente e Wwf Italia in merito alle notizie diffuse in questi giorni e alla querelle nata dalla pubblicazione del Buig (Bollettino Ufficiale degli Idrocarburi e delle Georisorse), che ha mostrato quelli che si potrebbero definire i primi “effetti” del Pitesai anche in riferimento all’attuale crisi energetica.
La caccia alle streghe
Il Pitesai è il piano regolatore che dice dove si possono sfruttare i giacimenti nazionali di petrolio e gas e in base a questo piano il ministero della Transizione ecologica ha rigettato un gruppo di prime 37 istanze di permesso di ricerca di risorse minerarie.
Secondo le tre organizzazioni, “si è scatenata una vera e propria caccia alle streghe da parte di una certa parte del mondo legato alle fonti fossili”. In particolare, affermano le tre organizzazioni, “si sta cercando di far passare queste bocciature per quello che non sono e si sta utilizzando la crisi del gas, dovuta anche al conflitto in Ucraina, per alimentare la fantomatica indipendenza energetica dell’Italia grazie agli idrocarburi presenti nel sottosuolo o nei fondali della penisola. Una caccia alle streghe inutile e insensata e dove, in questo calderone di disinformazione, vengono citate piattaforme, pozzi o istanze che nulla c’entrano con le pratiche rigettate recentemente”. Tradotto in parole semplici, a parere delle tre organizzazioni “la quasi totalità del gas estratto in Italia proviene solamente da 15 concessioni di coltivazione, mentre le restanti 86 concessioni contribuiscono ognuna pochi decimi percentuali rispetto al totale. In ottica di produzione ed economicità sarebbero quindi tutte da dismettere perché vivono nei nostri mari senza dare alcun apporto significativo, strategico o economico alla comunità”.
Aree idonee oppure no
“Situazioni tutte da verificare e valutare caso per caso - spiegano le associazioni - , ma che non fanno presagire niente di buono. Se un’area è stata individuata come non idonea secondo criteri oggettivi da un punto di vista ambientale, economico e sociale, non si capisce perché possano diventare magicamente compatibili se c’è una parvenza misera di gas da sfruttare. I famosi 150 milioni di metri cubi di gas sono una cifra irrisoria rispetto a consumi e produzioni attuali che di strategico o pubblico interesse ha veramente ben poco”.