Verso la Cop26 di Glasgow. Oltre il clima, le divisioni e le ambiguità
La Bbc raccoglie un dossier di Greenpeace: alcuni Paesi premono per ridurre la portata del summit. Sponsor insoddisfatti
La lobby di alcuni Paesi ad alta intensità fossile stanno facendo pressioni per sminuire la portata della conferenza internazionale sul clima Cop26. Lo afferma un rapporto di Greenpeace Uk, la quale ha passato il risultato dell’inchiesta alla Bbc. Secondo documenti di Greenpeace, vi sono prove di questa azione dei Governi sugli scienziati ed esperti Onu che stanno preparando il rapporto e le raccomandazioni da presentare alla conferenza sul clima in programma a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre. Sono stati 32mila i commenti da governi, compagnie e altre parti interessate all'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), l'organismo dell'Onu che ha il compito di valutare gli avanzamenti della scienza sul fronte dei cambiamenti climatici. Sulla riuscita del summit pesano anche le defezioni del presidente cinese Xi Jinping, di Vladimir Putin, del brasiliano Jair Bolsonaro, ma anche molti Paesi del fronte occidentale sotto traccia sembrano al lavoro per indebolire - nel nome degli interessi nazionali - gli impegni di riduzione delle emissione.
I Paesi accusati
In prima fila, nelle manovre in corso per abbassare l'asticella sulla riduzione dei cosiddetti gas serra, risultano essere ciclopici produttori di petrolio quali l'Arabia Saudita o gli altri Paesi dell'Opec; ma anche il Giappone (membro autorevole del forum dei G7) o l'Australia, oltre alla Cina, tutti ben posizionati sul mercato dei combustibili fossili. Nei messaggi si rincorrono le sollecitazioni a "mitigare" certi obiettivi, anche a rischio di mettere potenzialmente in discussione il traguardo chiave minimo di mantenere sotto la soglia di 1,5 gradi in più il surriscaldamento globale, secondo quanto delineato fin dall'Accordo di Parigi sottoscritto da 195 Stati nel 2015.
Le pressioni di Governi e imprese
La maggior parte dei commenti inviati all'Ipcc contengono indicazioni costruttive, tese a migliorare la qualità finale del rapporto. Ma tra questi ve ne sono alcuni inviati da alcune nazioni più ricche che resistono all'idea di dover aumentare gli investimenti destinati ad aiutare i Paesi più poveri a sviluppare tecnologie verdi.
Il Brasile e l'Argentina, ma anche la petrolifera Norvegia, sono decisi a strappare qualche margine in più sulle emissioni attraverso l'esclusione dai vincoli più stringenti di quanto riciclato attraverso la tecnologia di cattura e immagazzinamento dell’anidride carbonica. India e Paesi dell'Ue come Repubblica Ceca, Polonia o Slovacchia spingono per garantire nel documento finale più spazio all'energia nucleare tra le fonti alternative, accusando l'Onu di farsi condizionare dai pregiudizi contrari delle associazioni ambientaliste. La Svizzera cerca di porre limiti alle le somme che le nazioni ricche dovrebbero versare a nazioni povere o in via di sviluppo. Riguardo poi alla resistenza, quella raccomandata dalla bozza del rapporto, che viene considerata una troppo rapida riduzione dei combustibili fossili, c’è chi, come un consigliere del ministero del Petrolio saudita, suggerisce di togliere dal testo frasi che indicano "l'urgenza" di questa misura. Un alto funzionario del governo australiano rifiuta la conclusione che sia necessario chiudere gli impianti a carbone. I vertici dell'Ipcc sottolineano che il dialogo con governi e attori vari è essenziale e assicurano che non tutte le "raccomandazioni" ricevute saranno necessariamente accolte o solo prese in considerazione.