Biometano. L’Italia è in ritardo, l’obiettivo al 2030 è produrre 5,7 miliardi di metri cubi
Le 4 aste (su 5) finora concluse hanno registrato una capacità produttiva assegnata nettamente inferiore al contingente disponibile, mantenendo l'Italia in ritardo rispetto al passo dell’Europa. 115 impianti di biometano allacciati soprattutto al Nord
La produzione di biometano immessa in rete al momento equivale a circa 570 milioni di metri cubi/anno, un valore ben lontano dagli obiettivi contenuti nel PNIEC che la fissano a 5,7 miliardi di metri cubi/anno entro il 2030, con un focus sui consumi nei trasporti e nella produzione di energia termica per settori industriali difficili da decarbonizzare (hard-to-abate). Lo rivela Paolo Maccarrone, Direttore scientifico dell’Outlook Biometano 2024, redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano e presentato la scorsa settimana. Dal documento emerge che Sul nostro territorio insistono già 115 impianti di biometano allacciati alla rete del metano, di cui 77 al Nord, 13 al Centro e 25 al Sud, per una capacità produttiva totale di quasi 67.000 Smc/h (standard metri cubi all'ora).
Il ritardo
Per accelerare lo sviluppo del settore, il governo italiano ha quindi varato nel 2022 un apposito Decreto che disciplina l’accesso alle risorse stanziate nell’ambito del PNRR, pari a 1,73 miliardi di euro, tra il 2023 e il 2025, attraverso un meccanismo di aste competitive. Tuttavia, le 4 aste (su 5) finora concluse hanno registrato una capacità produttiva assegnata inferiore al contingente disponibile e pari a circa 176.000 Smc/h, valore a cui vanno sottratte le rinunce, per cui il contingente effettivo è pari al momento a 122.270 Smc/h (circa un miliardo di metri cubi/anno). Un trend che vede l'Italia in ritardo rispetto alla capacità attuale delle vicine Francia e Germania. Il biometano, infatti, è anche al centro delle politiche europee: l’obiettivo al 2030 - sfruttando le risorse del piano REPowerEU - è raggiungere i 35 miliardi di metri cubi di produzione, per favorire la transizione energetica, ma anche rafforzare la sicurezza energetica del continente, priorità emersa con urgenza a seguito del conflitto russo-ucraino. Target specifici sono poi stati definiti per la penetrazione del biometano in settori chiave come quello marittimo e l’aviazione, per promuovere l'adozione di combustibili di origine biologica.
“In un contesto di transizione energetica sempre più urgente, il biometano rappresenta una straordinaria opportunità per combinare sostenibilità ambientale, sicurezza energetica e valorizzazione delle risorse locali - aggiunge Maccarrone - ma il pieno sviluppo di questa filiera richiede un impegno strategico condiviso, capace di superare barriere economiche, normative e logistiche per trasformare un potenziale promettente in un pilastro concreto della decarbonizzazione”.
La filiera del biometano
La filiera del biometano risulta piuttosto articolata e flessibile perché le materie prime utilizzate sono di natura differente (scarti di produzione agricola, reflui zootecnici, rifiuti organici urbani) e, anche se ci si limita agli impianti alimentati da derivazioni di scarti agroindustriali e zootecnici, esiste una grande variabilità nel mix di “ricette”. Questo consente una notevole capacità di adattarsi al contesto, caratterizzato da numerosi fattori di incertezza (la disponibilità di materie prime dipende dal mercato e da variabili esogene, come gli eventi atmosferici estremi), ma comporta al tempo stesso una complessità logistica non indifferente. Un altro tema sensibile è quello dello smaltimento dei prodotti di scarto del processo di generazione del biogas e quindi anche del biometano, il cosiddetto digestato, che viene usato come fertilizzante dei terreni agricoli e che, con l’aumento degli impianti per numero e capacità, deve trovare superfici di spandimento sempre più grandi, compatibilmente con il fatto che ci sono dei limiti alla quantità di digestato utilizzabile per ettaro, legati alla presenza più o meno alta di nitrati. E poiché i costi legati allo spandimento sono a carico del produttore, la localizzazione dell’impianto è fondamentale per limitare le spese logistiche e di stoccaggio. Tuttavia, se anche venissero realizzati tutti gli impianti vincitori delle aste e mantenuti quelli esistenti, la superficie agricola disponibile a livello nazionale per lo spandimento risulterebbe ben superiore a quella necessaria, evidenziando che il potenziale di produzione di biometano in Italia è significativamente più alto rispetto allo scenario attuale, che include anche gli impianti autorizzati ma non ancora costruiti.
L’analisi economico-finanziaria
È stato poi messo a punto un modello economico-finanziario per valutare il ritorno dell’investimento di un impianto a biometano. Gli incentivi statali giocano un ruolo cruciale nella profittabilità e nell'attrattività degli investimenti, poiché riducono l’entità dell’investimento iniziale e ne incrementano i ricavi, rendendolo potenzialmente più competitivo rispetto ad altre fonti di energia. Tuttavia, vi sono diversi elementi di incertezza che possono impattare in modo rilevante sull’effettivo ritorno dell’investimento: innanzitutto la forte variabilità del capitale iniziale (CAPEX) necessario per costruire un impianto, che può variare di diversi milioni di euro a seconda delle specifiche condizioni del progetto (tipologia dell’impianto, localizzazione, distanza dalla rete, ecc). Vi sono poi vari fattori che pesano sui costi di gestione (OPEX), quali ad esempio la disponibilità e il prezzo delle materie prime (che cambiano in base alla località e alla stagione), il costo dello spandimento del digestato (legato alla logistica e alle caratteristiche del territorio), le specificità delle normative locali, i cui vincoli possono incidere negativamente sui costi o limitare le potenzialità operative degli impianti. Tutto questo contribuisce a incrementare il rischio del progetto di investimento, rendendo meno attrattivi gli schemi incentivanti attuali e rallentando la crescita del settore.