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Grand’Europa. Allo studio nuove regole contro chi fa greenwashing con l’Esg. Un’analisi

where Milano when Lun, 20/11/2023 who roberto

Il commento di Luca Poma, professore di reputation management all’Università Lumsa di Roma. Il 70% circa delle aziende pubblica bilanci di sostenibilità redatti unicamente sulla base di documenti autoprodotti

A Bruxelles si avvicina il momentogreenwashing.jpeg per discutere della proposta di Regolamento del Parlamento e del Consiglio europeo sulla trasparenza e sull'integrità delle attività di rating ambientale, sociale e di governance (Esg), messo recentemente a punto dalla Commissione europea. La proposta è ora approdata in Parlamento con la votazione in Commissione prevista per la fine di novembre. I rating Esg sono ormai indispensabili ovunque per partecipare a bandi, appalti e anche solo beauty contest. Pur risultando centrale per agevolare il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo e delle Nazioni Unite, il mercato dei rating Esg è attualmente viziato da non conformità, elementi distorsivi e soprattutto rischio di greenwashing, con il risultato che la fiducia degli investitori può risultarne compromessa.
 
Dubbi su molte certificazioni
Un problema dimostrato anche da una recente ricerca finanziata dall’Europarlamento stesso e presentata a Bruxelles nel giugno scorso, secondo la quale il 70% circa delle aziende che pubblicano bilanci di sostenibilità, convalidati da una Società di certificazione, confermano che il lavoro di quest’ultima si è basato solamente sull’analisi di documenti ed evidenze prodotte dall’azienda stessa, senza quindi venire sottoposti a una vera e propria verifica da parte dei Certificatori, mentre sono solo un quarto (25%) le organizzazioni che affermano di essersi sottoposte a uno specifico audit interno sulla rendicontazione dei criteri Esg. Il mercato dei bilanci Esg appare come una giungla, e nella maggior parte dei casi le cosiddette “certificazioni Esg” altro non sono che banali validazioni di auto-dichiarazioni delle aziende stesse, spesso risultanti dalla compilazione di “checklist online” – ovviamente a pagamento - sulle quali non viene effettuato poi alcun controllo di autenticità.
 
L’analisi di Poma
“Non esistendo un quadro normativo specifico a livello europeo per i rating Esg, gli Stati membri, attualmente, operano indipendentemente l’uno dall’altro, generando eccessiva eterogeneità, possibili conflitti e una protezione ineguale degli investitori nei diversi Stati membri”, ha dichiarato Luca Poma, professore di reputation management all’Università Lumsa di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino, che ha avuto modo di analizzare nel dettaglio la bozza di proposta che sta per approdare in Parlamento ed avanzare alle autorità preposte alcune osservazioni di merito. “Questo strumento legislativo vuole garantire, attraverso dichiarazioni Esg credibili, autentiche e rilasciate da enti e agenzie autorizzate, una standardizzazione di questo genere di certificazioni, garantendo un approccio omogeneo tra gli Stati membri e una maggiore trasparenza e protezione degli investitori”.
Il valore di un simile intervento legislativo risiede quindi nell'offrire coerenza per un quadro normativo omogeneo che faciliterebbe la comparabilità tra i rating Esg, evitando l'emergere di norme diverse a livello nazionale, e garantendo attraverso un approccio uniforme su tutto il territorio europeo la riduzione delle incertezze per gli operatori del mercato.
 
Armi contro il greenwashing
Il testo contiene diversi passi importanti nella lotta al greenwashing, ma non mancano le criticità, ha confermato il professore: “Per fare solo tre esempi tra tanti, la bozza per com’è ad oggi concepita prevede che l’Esma (l’autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati dell’Ue) abbia l’autorità per fare ispezioni solo in caso di segnalazione di violazioni e non di propria iniziativa. Senza ispezioni in loco, verifiche e altri meccanismi di controllo, non vi sarà alcuna certezza che i requisiti previsti dal regolamento siano mantenuti nel tempo dalle agenzie di certificazione. Poi, non è prevista la creazione di una banca dati delle aziende che hanno ricevuto il rating Esg e delle relative agenzie che le hanno certificate. Questo limita fortemente la trasparenza verso i cittadini, che dovrebbe invece essere una delle prerogative principali dell’Ue. Infine, dovrebbero essere gli stessi fornitori di rating Esg ad adottare le misure necessarie per garantire che i rating Esg forniti non siano influenzati da alcun conflitto di interessi, ma chi poi, dall’esterno, avrà la responsabilità di verificare che queste misure siano effettivamente rispettate? Insomma – ha concluso Poma - c’è molto di buono in questa proposta di regolamento, ma anche molto ancora da migliorare”.

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