Caldaia difettosa, la Cassazione condanna il tecnico che non l’ha spenta
Risarcimento per una famiglia del bolognese intossicata dal monossido di carbonio. Per i supremi giudici “una grave imprudenza è fonte di responsabilità”
Il tecnico chiamato ad aggiustare una caldaia malfunzionante rischia la condanna per lesioni e quella al pagamento dei danni nel caso in cui lasci funzionare l’impianto, pur con la raccomandazione di utilizzarlo poco, nonostante sia consapevole della presenza di un difetto in uno dei componenti. Lo sottolinea la Cassazione, che ha confermato la condanna, coperta dall’indulto, a mille euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni provocati dalle esalazioni della caldaia a un tecnico che era stato chiamato ad aggiustarla.
Senza successo F.M., dipendente della società Energia Ambiente spa, ha cercato di contestare il verdetto di colpevolezza emesso a suo carico nel dicembre del 2011 dal tribunale di Bologna (sezione di Porretta Terme), a conferma della sentenza di primo grado pronunciata dal giudice di pace di Vergato il 18 febbraio del 2010.
Il tecnico era stato chiamato da una famiglia di Marzabotto, il 27 marzo 2006, che si era accorta del cattivo funzionamento della caldaia a gas della propria abitazione. F.M. si era accorto del fatto che l’impianto, molto probabilmente a causa del pressostato non originale, aveva problemi a funzionare correttamente. Nonostante ciò aveva consentito a che la famiglia residente nell’abitazione continuasse ad utilizzare il riscaldamento seppure non a pieno ritmo. La famiglia è stata quindi intossicata dal monossido di carbonio.
Invece, ad avviso della Cassazione (sentenza 48.229), il tecnico “avrebbe dovuto impedire, a titolo precauzionale, ogni uso della caldaia, non potendo assumersi personalmente il rischio di un malfunzionamento dell’impianto, con la conseguente creazione di un prevedibile pericolo per la salute dei familiari residenti nell’abitazione”. Per i supremi giudici, “costituiva un preciso dovere dell’imputato avvertire il cliente sul pericolo relativo all’utilizzazione di una caldaia con un pressostato di dubbia funzionalità”.
Il tecnico, insomma, avrebbe dovuto rifiutarsi di lasciarla utilizzare senza una previa verifica del componente “sospettato” di cattivo funzionamento. E il fatto “costituisce una grave imprudenza, fonte di responsabilità”, conclude la sentenza.