Fukushima, rapporto shock: caos negli interventi e popolazione all’oscuro di tutto
La commissione indipendente parla di cultura della sicurezza nipponica come di un mito: dal 2006 si conoscevano i rischi ma nessun provvedimento è stato adottato; gran confusione si è verificata nella catena di comando tra governo dell’emergenza e Tepco; scarsissima informazione, solo il 20% delle persone nel raggio dei 3 km sapeva nella sera dell'11 marzo di dover andare via subito
L'incidente nucleare giapponese di Fukushima sconta “chiaramente il fattore umano” specie l’assenza di azioni preventive, la mancanza di governance tra governo, authority e gestore Tepco e l’informazione poco tempestiva alla popolazione.
Il rapporto della commissione indipendente di esperti (Naiic) voluta dal parlamento giapponese, al termine dell'indagine di sei mesi, è duro nei contenuti e punta il dito dritto contro il mito della “cultura della sicurezza nucleare nipponica”, crollato di fronte al devastante sisma/tsunami dell'11 marzo del 2011.
Le parti in causa, sottolinea la corposa relazione (quasi 700 pagine raccolte in tre volumi principali), “hanno tradito effettivamente il diritto della nazione a essere al sicuro da incidenti nucleari”: si sono presentate molte “possibilità di adottare misure adeguate in tempo”, ma sono state “tutte disattese” a causa della “connivenza” tra i regolatori e la società gestrice, la Tepco, che hanno portato al “crollo” delle funzioni di vigilanza.
L'esempio annotato, in particolare, risale al 2006 e al fatto che authority (Nisa) e utility sapevano che l'alimentazione elettrica sarebbe saltata con uno tsunami capace di raggiungere il sito. Tuttavia nessun provvedimento è stato mai adottato.
In altri termini, la causa della peggiore crisi nucleare mondiale dopo Cernobyl non è da imputare allo tsunami, come disse la spiegazione “sbrigativa” della Tepco, ma va indietro
nel tempo.
La risposta del governo all'emergenza è da considerarsi dubbia: “L'intervento diretto” dell'allora premier, Naoto Kan, e di altri su questioni che avrebbero dovuto essere lasciate a esperti e Tepco, ha creato “confusione nella catena di comando e portato a una perdita di tempo”. Poi, “lacune organizzative nella utility” sul sito dell'incidente e di formazione del personale di fronte alle emergenze hanno creato altri problemi.
“La gestione delle crisi sulla sicurezza pubblica va assicurata senza dover contare in ogni momento sulla capacità di giudizio del primo ministro”, si legge, in merito alla scontro
tra premier e vertici della Tepco e della Nisa (Agenzia per la sicurezza nucleare) sui passi da compiere.
Quanto all'evacuazione dei residenti nelle aree intorno alla centrale, “c'è negligenza dei regolatori sull'aggiornamento delle misure contro i disastri nucleari”: solo il 20% delle
persone nel raggio dei 3 km sapeva nella sera dell'11 marzo 2011 di dover andare via subito e questo ha portato all'inutile esposizione alle radiazioni di migliaia di persone.
La raccomandazione della commissione è di “procedere a una revisione radicale del sistema, non di tipo cosmetico” per la sicurezza della gente, puntando - tra l'altro - sulla reale indipendenza tra authority, operatori e pressioni politiche.
La distorsione nel settore trova origine nel potere delle utility di condizionare “in profondità” la politica (le pressioni delle lobby e l'assunzione di burocrati ex controllori ed ex funzionari pubblici) e le economie locali.
Il rapporto sarà ora discusso dal parlamento. E sull'ipotesi di un suo uso a sostegno di una possibile azione penale, “non è nostro compito decidere”, ha tagliato corto il presidente della commissione, Kiyoshi Kurokawa, professore universitario ed ex presidente del consiglio delle Scienze nipponico.