EcoFrankestein food. Ricerca: con le proteine alternative taglieremmo il 4% della CO2 al 2030
Il nuovo studio di BCG e Blue Horizon delinea un mercato in enorme crescita, con un tasso di crescita annuo del 124%, giunto nel 2021 a 5 miliardi di dollari
Ripensare il modo in cui produciamo il cibo è una scelta che potrebbe cambiare il corso della storia dell’umanità e che presto o tardi dovrà essere affrontata, viste le condizioni del pianeta. Il sistema alimentare è responsabile del 26% delle attuali emissioni globali di gas serra e la sola agricoltura animale produce il 15% delle emissioni, pari all’incirca a quelle del settore dei trasporti. Una strada, ad oggi, alquanto controversa verso la sostenibilità è già stata tracciata grazie alle opportunità offerte dalle proteine alternative (prodotte da fermentazione o a base di cellulle animali), che secondo l’ultima edizione dello studio di BCG e Blue Horizon “Food for Thought: The Untapped Climate Opportunity in Alternative Proteins”, rappresenteranno l’11% di tutto il consumo di proteine entro il 2035.
L’indagine in sette paesi
Un’indagine, condotta su 3.700 intervistati in 7 Paesi, ha rivelato che i miglioramenti nei valori nutrizionali, gusto e prezzo sono fondamentali per aumentarne la domanda: se venissero affrontate le maggiori inibizioni dei consumatori verso questi prodotti, la quota di intervistati che consumano esclusivamente o prevalentemente proteine alternative raddoppierebbe dal 13% al 27%, mentre il numero di chi le bilancia con quelle tradizionali aumenterebbe di quasi un terzo. “Se supportate dalla tecnologia, dagli investimenti e dalle autorità di regolamentazione, le proteine alternative hanno margine per raddoppiare la propria quota di mercato, sempre entro il 2035. Questo non ci stupisce, considerando i passi da gigante fatti da questo tipo di prodotti in termini di accettazione da parte dei consumatori” ha spiegato Lamberto Biscarini, Managing Director e Senior Partner di BCG.
La corsa al settore e gli investimenti
All’apprezzamento da parte dei consumatori si aggiungono altri fattori che hanno alimentato i progressi del settore. Secondo il Good Food Institute, il capitale di rischio investito nelle proteine alternative è passato da 1 miliardo di dollari nel 2019 a 5 miliardi di dollari nel 2021, con un aumento del tasso annuo del 124%. Inoltre, stanno crescendo gli investimenti in aziende specializzate in nuove tecnologie come le proteine da fermentazione (+137% dal 2019 al 2021) e a base di cellule animali (+425%). Anche molte aziende alimentari tradizionali fanno preziosi investimenti, mentre i progressi tecnologici contribuiscono a far arrivare nuovi prodotti sul mercato, compresi quelli ibridi, e anche i costi sono in diminuzione, avvicinandosi alla parità con i prodotti a base di proteine animali. L’incremento complessivo degli investimenti nel settore è coerente con una più ampia attenzione agli investimenti sostenibili, che crescono da tre a cinque volte più velocemente di quelli tradizionali.
Il taglio delle emissioni
Nel rapporto Food for Thought del 2021, BCG ha stimato che il passaggio alle proteine alternative farà risparmiare 1 gigatone (Gt) di CO2 entro il 2035, ossia circa 0,85 Gt di CO2 equivalente (CO2e) a livello mondiale entro il 2030. Se le proteine alternative arrivassero a conquistare una quota di mercato del 22% entro il 2035, si potrebbe raggiungere una riduzione di 2,2 Gt di CO2e entro il 2030, che equivale a un potenziale risparmio compreso tra 100 e 160 miliardi di dollari; se infine sostituissero il mercato totale delle proteine animali, le emissioni globali di gas serra diminuirebbero di oltre 6 Gt CO2e, con un risparmio potenziale compreso tra 303 e 484 miliardi di dollari. “Questi dati rendono chiaro che si tratta di una grande opportunità per il settore alimentare: gli investimenti nelle proteine alternative producono un impatto del capitale impiegato (IoCE) superiore a quello che possono ottenere i corrispondenti investimenti di decarbonizzazione in altri settori ad alta emissione, come ad esempio il passaggio alle pompe di calore negli edifici più vecchi” conclude Biscarini.
Opportunità e compromessi
Rispetto ad altre soluzioni, infatti, il passaggio alle proteine alternative richiede compromessi economici e individuali relativamente modesti per i consumatori, che ne sono consapevoli: il sondaggio di BCG ha rilevato che oltre il 30% degli intervistati ritiene che avere un impatto positivo sul clima sia la ragione principale per passare alle proteine alternative. È pur vero che la transizione comporta non solo opportunità, ma anche grandi cambiamenti per tutti gli operatori dell’industria alimentare (agricoltori, fornitori, produttori e investitori): la velocità e la portata dell'impatto dipenderanno dal tipo di proteina e di alternativa in questione, nonché dal progredire di nuove tecnologie. Per cogliere al meglio quest’occasione bisognerà innanzitutto sostenere gli agricoltori, che sono i principali artefici del passaggio, ma anche coloro che dispongono di meno risorse e che sono chiamati ad affrontare i rischi maggiori. Inoltre, è importante garantire pari condizioni politiche e normative tra proteine tradizionali e alternative, orientare il capitale verso iniziative di trasformazione, ottimizzare le risorse e il recupero dei rifiuti e continuare a favorire l’accettazione da parte dei consumatori. Cibo buono, sano e sostenibile è già sulle tavole di tutto il mondo e i numeri suggeriscono che è il momento di continuare a generare valore lungo tutta la supply chain.