Un italiano in Nuova Zelanda per studiare l’impatto delle dighe sui corsi d’acqua
Sarà un progetto incentrato sull’effetto dell’uomo sulla morfologia dei fiumi
Un ricercatore italiano studia l’effetto delle dighe sui fiumi della Nuova Zelanda. Si chiama Guglielmo Stecca e, dopo il dottorato in Ingegneria ambientale all'Università di Trento, è ora impegnato in un progetto sull'impatto delle dighe e sulla gestione e riqualificazione dei fiumi, che si svolgerà in parte in Nuova Zelanda.
Lo scopo del progetto di ricerca è studiare come i fiumi rispondono ai cambiamenti del regime delle portate e dei sedimenti indotti dalle dighe, e sviluppare un modello numerico che permetta di anticipare i possibili impatti delle dighe e altri interventi sul letto di un fiume, per cercare di mitigarli o riqualificarli. L'uso delle dighe a scopo idroelettrico è sempre più cruciale nello scenario energetico di oggi, per i molteplici vantaggi che offre soprattutto in confronto alle fonti di energia tradizionali.
BraidSideEarth (abbreviazione di "The Braided Side of the Earth") si svolgerà tra il Dipartimento di Ingegneria civile, ambientale e meccanica dell'Università di Trento (Dicam), che è la sede principale del progetto, e il National Institute of Water and Atmospheric Research (Niwa) di Christchurch, in Nuova Zelanda. Di durata triennale, comincerà in aprile.
Oggetto di studio sono i sistemi fluviali ad alveo intrecciato, o braided rivers in inglese. Sono fiumi caratterizzati da una molteplicità di canali, biforcazioni, confluenze, isole con presenza di vegetazione. In passato comuni in Europa, la situazione è cambiata con la canalizzazione degli alvei, l'estrazione di inerti e la costruzione di dighe.
“Lo scopo ultimo, al rientro in Italia, sarà la definizione di nuove strategie di gestione di alcuni fiumi europei interessati dalla presenza di dighe al fine di recuperarne la salute ambientale", dice Guglielmo Stecca, che poi spiega: "La Nuova Zelanda (in modo particolare la South Island, che è la parte meno urbanizzata e abitata) fornisce, da un punto di vista europeo, l'opportunità di tornare indietro nel tempo e osservare i fiumi in condizioni quasi originarie. Il fatto che le poche alterazioni prodotte in Nuova Zelanda siano molto recenti dà inoltre la possibilità di studiare i mutamenti negli stili fluviali ancora in atto. Utilizzeremo un approccio che combina tra loro elementi di idraulica, di geomorfologia fluviale, di ecologia e di matematica applicata".