Raee, ogni ospedale produce 50 tonnellate di rifiuti elettromedicali all’anno
Il nodo dello smaltimento: spesso sono trattati come banali rottami ma, avvertono gli esperti, servono cautela e valutazione dei rischi
Gli ospedali hanno un problema ingombrante da affrontare: producono ogni anno montagne di rifiuti elettronici ed elettrici. Sono gli apparecchi elettromedicali, che hanno una data di nascita e di morte e, esaurito il loro ciclo di vita, devono essere smaltiti. E i volumi sono importanti: un’azienda ospedaliera produce in media 50 tonnellate di rifiuti elettromedicali – raee, rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche – in un anno, stimano gli esperti.
Tenuto conto che nella sola Lombardia le aziende ospedaliere sono circa un centinaio, con un rapido calcolo ci si può rendere conto della dimensione del problema. Del resto basta guardare i conti: ogni anno, secondo le statistiche ricordate in un incontro sul tema da Paolo Lago, dell’Ingegneria clinica del Policlinico San Matteo di Pavia, “in un ospedale italiano si spendono in media 110 milioni di euro per l’acquisto di dispostivi medici. Molto pesa l’area della cardiologia interventistica con stent, valvole e così via. Ma nel pacchetto degli acquisti ci sono anche apparecchi elettrici ed elettronici, usati per esempio nella diagnostica. E quando “muoiono” che fine fanno? “Nella maggior parte dei casi vengono trattati come un banale asciugacapelli o un ferro da stiro – spiega all’Adnkronos Candido Manzoni, amministratore delegato della società Lavoro e ambiente, – e questo è un rischio perché avrebbero bisogno di maggiore cautela”.
Se ne sono accorti, in fase di smontaggio, gli addetti che trattano questo tipo di rifiuti: “Ci siamo resi conto che stavamo sottoponendo gli operatori a rischi non calcolati”, sottolinea Manzoni. Che ha promosso una serie di incontri, l’ultimo a Varese, con gli operatori del mondo della sanità interessati dal problema, come amministratori, direttori sanitari, ingegneri clinici e tecnici, per approfondire i nodi critici ancora da sciogliere. “Spesso – prosegue l’ad – ci è capitato di avere a che fare con apparecchiature con ancora attaccato il simbolo che indica la presenza di materiale batteriologicamente infetto”. E le novità introdotte dal decreto 121/11, che ha fatto rientrare un certo numero di illeciti ambientali nell’ambito di applicazione della legge 231 sulla responsabilità amministrativa degli enti, rendono molto delicato l’aspetto gestionale della dismissione di questi apparecchi potenzialmente pericolosi.
Quanto ai costi, “procedere al recupero di questi prodotti non è caro – conclude Manzoni. – Anzi, può trasformarsi in una risorsa: basti pensare che in pratica tutte le parti di un elettromedicale possono essere recuperate in una percentuale pari al 95%”.