Animalìe. Corsa contro il tempo, gli scienziati cercano di salvare le 8mila razze di animali da allevamento
Gli scienziati dell’Università Cattolica di Piacenza hanno catalogato le prime 100 razze. Le linee guida Fao per consentire il mastodontico censimento genetico
È una corsa contro il tempo quella per la conservazione della biodiversità degli animali d'allevamento a rischio di estinzione nel mondo, con gravi ricadute ambientali e sociali a livello globale. La sede di Piacenza dell’università Cattolica è specializzata nell’applicare alle discipline agrarie le scienze più avanzate e ha dato un contributo fondamentale all’operazione di analisi del Dna in corso di svolgimento in tutto il mondo lavorando, insieme ad altri esperti internazionali, a elaborare i contenuti delle linee guida della Fao sul tema nell’ambito del “Global Plan of Action for Animal Genetic Resources”.
Salvare la biodiversità
Nell’ambito del “Global Plan of Action for Animal Genetic Resources” della Fao, l’obiettivo di queste linee guida è di stabilire come usare l’informazione contenuta nel Dna degli animali allevati per caratterizzare la biodiversità e ottimizzare i programmi di conservazione e miglioramento genetico delle specie in allevamento, ma anche per identificare geni di interesse da usare per aumentare la resilienza delle specie zootecniche ai cambiamenti climatici.
A coordinare una parte del lavoro sono stati Paolo Ajmone Marsan e Licia Colli della facoltà di Scienze agrarie.
Catalogate 100 razze
“Grazie alla esponenziale riduzione dei costi e dei tempi di sequenziamento genomico – sottolinea il professor Ajmone – sarà possibile effettuare una caratterizzazione dettagliata del Dna di tutte le razze zootecniche esistenti attraverso il sequenziamento completo del loro genoma. In questo momento diverse migliaia di individui di più di 100 razze sono stati sequenziati, ma le razze sono più di 8mila. Quanto ai tempi di questo mastodontico censimento genetico, attualmente si pensa a dieci anni, ma la genomica è sempre andata più veloce di quanto pianificato, grazie a salti tecnologici continui, quindi i tempi si potrebbero accorciare”. Molte razze locali di specie animali allevate nel mondo stanno rapidamente scomparendo per diversi motivi, per lo più economici, spiega il professor Ajmone, perché purtroppo non riescono a competere con le razze industriali, più produttive; ma anche a causa dell’abbandono dell’agricoltura in aree marginali del mondo, e poi ancora a causa di cattive politiche di conservazione delle specie autoctone, scorretto management dal punto di vista genetico o semplicemente per instabilità sociali, causate da guerre e carestie.
Già perso il 10% delle varietà allevate
“La Fao stima che nell’ultimo secolo si sia già estinto il 10% delle razze – nota il professor Ajmone - che il 30% sia ora a rischio e che di un altro 30% non si abbiano notizie sufficienti (numero di allevamenti, numero di maschi e di femmine in età riproduttiva, ecc.) per definire il loro grado di rischio. Perdere queste razze locali potrebbe non essere un grave problema economico (almeno su grossa scala, anche se potrebbe essere un cataclisma per le comunità rurali nei paesi a basso e medio reddito), ma sarebbe un vero disastro dal punto di vista della conservazione genetica globale. Pensiamo infatti – continua l’esperto - che le specie zootecniche derivano tutte da eventi di domesticazione avvenuti diverse migliaia di anni fa in centri di domesticazione ben definiti, per esempio i nostri bovini sono stati domesticati 10mila anni fa nella Mezzaluna Fertile, insieme a capre, pecore e suini; gli zebù nella valle dell’Indo un paio di millenni dopo, Il bufalo d’acqua (quello delle nostre mozzarelle) nel Nord Est dell’India, quello di palude nel Sud-Est asiatico, e così via. Dopo la domesticazione questi animali hanno seguito le vicende umane e colonizzato il pianeta. Nei millenni successivi si sono adattati a vivere e produrre in condizioni ambientali molto diverse, dai deserti del Nord Africa, ai tropici, ai climi freddi della Scandinavia. Queste razze, quindi, possiedono varianti geniche uniche che hanno permesso il loro adattamento a condizioni estreme, per clima, tipo di foraggi, tolleranza a malattie e parassiti. L’estinzione di queste razze sta portando alla perdita di queste varianti, proprio quando esistono metodi di analisi del DNA per poterle identificare” e potenzialmente selezionare per trasferirle nelle razze che vengono oggi allevate su scala industriale.
Adattarsi al clima
Un giorno, quando paesi storicamente con clima temperato come il nostro dovessero acquisire un clima più estremo, con caldo killer e aridità dei territori, questi “geni dell’adattamento” a climi estremi potrebbero tornare utili anche ai nostri allevatori.
I contenuti delle linee guida Fao indicano come usare l’informazione contenuta nel DNA delle razze per caratterizzare la biodiversità e ottimizzare i programmi di conservazione e miglioramento genetico delle specie in allevamento, ma anche per l’identificazione di geni di interesse da sfruttare per creare animali più resilienti, efficienti e produttivi, nell’ottica di “produrre di più con meno”.
Infine, si noti che in parallelo alla perdita di biodiversità delle specie selvatiche è in corso anche una perdita di biodiversità in agricoltura, una biodiversità cruciale per affrontare i cambiamenti climatici: la guida Fao fornisce informazioni utili per rallentare questo fenomeno o per lo meno comprendere meccanismi biologici evoluti in millenni di selezione, prima che spariscano.