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Castelli in aria. Uragano Milton: cronaca, meteo, clima, stagione uragani

where Milano when Lun, 14/10/2024 who roberto

Nel Golfo del Messico l’uragano ha trovato condizioni ambientali estremamente favorevoli allo sviluppo di una ciclogenesi esplosiva tropicale con un rate di approfondimento orario che ha raggiunto i 5 hPa/ora. Mare molto caldo, vento in quota assente, condizioni della colonna troposferica ottimali gli ingredienti principali
di Daniele Vasilevski

Passato da poco sulla Floridauragano-pxhere.jpg l’uragano Milton seminando purtroppo morte e distruzione in seguito al suo landfall, facciamo un recap di quel che l’uragano ha “vissuto” in soli 4 giorni di vita. Un uragano molto intenso, tra i più intensi mai registrati sul bacino dell’Atlantico per quanto riguarda la pressione minima registrata: 897 hPa di pressione minima misurata attraverso le ricognizioni aeree: 5º valore di pressione più basso sull’Atlantico, in meno di 48 ore da Depressione Tropicale a Uragano di categoria massima: un record la sua rapidità di approfondimento.
 
Carta d’identità di un uragano
Milton nasce da una zona di bassa pressione tropicale dell’Oceano Pacifico che è riuscita a “gettarsi” nel Golfo del Messico nel tratto più stretto del Centro America. Lì ha trovato condizioni ambientali estremamente favorevoli allo sviluppo di una ciclogenesi esplosiva tropicale con un rate di approfondimento orario che ha raggiunto i 5 hPa/ora. Mare molto caldo, vento in quota assente, condizioni della colonna troposferica ottimali gli ingredienti principali.
Vento massimo sostenuto dall’uragano di 280 km/h poco prima di subire un processo di “ricambio” dell’occhio che ha portato l’intensità dello stesso alla categoria 4. Il ricambio dell’occhio è un processo frequente all’interno degli uragani, specie quelli più intensi, in cui le bande di pioggia esterne all’occhio originario si organizzano tutto attorno allo stesso e gradualmente “mangiano” l’umidità e il momento angolare del primo occhio. Durante questo processo il “core” dell’uragano si copre di nubi fino alla nuova organizzazione del nuovo occhio. Essendo i venti più forti nei pressi dell’occhio, durante questo processo l’intensità dell’uragano cala prima di subire un nuovo aumento una volta che il nuovo occhio si è “stabilito”. Così è successo anche con Milton che in seguito al ricambio è tornato ad essere un uragano di categoria 5. Da quel momento però, l’uragano si è trovato in un ambiente sempre meno favorevole all’intensificazione, complice l’aumento del vento in quota che a lungo andare ha eroso sempre più la struttura dell’uragano, portandolo ad approdare sulla terraferma come uragano di categoria 3 con venti sostenuti a poche centinaia di metri dal suolo di circa 185 km/h.
Al suolo nella zona di landfall dell’occhio si sono registrati venti fino a 120 km/h e raffiche fino oltre i 160 km/h. La differenza tra il valore che definisce la categoria e i valori degli anemometri al suolo sono giustificati dall’attrito, che porta il vento a rallentare nello strato prossimo alla superficie.
Le piogge che hanno anticipato e accompagnato l’uragano sono state molto forti: a St. Petersburg, poco a sud di Tampa, l’accumulo complessivo ha superato i 450 mm. Gli accumuli di pioggia negli uragani vengono molte volte ignorati perché spessissimo si verificano nella parte che poi deve affrontare l’innalzamento della marea provocata dall’uragano stesso. Milton ha provocato una marea di circa 2 metri e mezzo nella zona di Sarasota, città del landfall; valori compresi tra un metro e mezzo e tre lungo tutta la costa limitrofa.
Uragano perciò molto intenso che però fortunatamente ha perso una buona parte della sua intensità “in vista” della costa, limitando così almeno parte dei danni. L’intensità pur essendo risultata importante, non si è minimamente avvicinata ai landfall atlantici più disastrosi nella storia statunitense: Katrina, rimanendo nel XXI secolo, rimane molto lontano; lo stesso uragano Helene di due settimane fa è risultato più grave in quanto a storm surge (marea) ed effetti legati alle piogge e al vento.
 
Meteo-clima.
Come sempre in questi casi ci si domanda: ma il clima che cambia ha un ruolo? Certamente, ma non nei termini che siamo abituati a sentire nei media.
Un mare più caldo della norma, come lo è il Golfo del Messico in questo momento con valori quasi da record, è certamente motivo di intensificazione rapida dei cicloni. I cicloni tropicali, infatti, prendono la loro energia dal mare: più è caldo, più energia hanno a disposizione. In un mondo più caldo, mari compresi, i cicloni tropicali possono perciò contare su un serbatoio più grande.
Il solo mare più caldo però non basta per lo sviluppo: uno sviluppo tropicale necessita di condizioni della colonna troposferica favorevoli. Lo abbiamo visto per buona parte di questa stagione degli uragani atlantici 2024 che ha mostrato una attività molto bassa, a dispetto delle previsioni e delle condizioni del mare con temperature da record su buona parte della zona di sviluppo.
Possono passare 12 anni come 12 giorni tra un landfall e un altro. La Florida per esempio dopo il disastroso uragano Wilma del 2005 (ad oggi uragano atlantico più intenso mai registrato), non ha visto un altro approdo tropicale fino al 2017 con l’uragano Irma. Quest’anno invece nell’arco di due settimane hanno visto due landfall: prima Helene e poi Milton.
Un mondo più caldo può perciò intensificare più rapidamente le tempeste, soprattutto quelle che si trovano in condizioni di sviluppo ottimali come lo è stato per Milton; non è però necessariamente sinonimo di tempeste in generale sempre più forti o di tempeste più frequenti.
 
La stagione degli uragani.
Queste ultime due settimane di alta attività hanno portato l’Atlantic ACE (Accumulated Cyclone Energy), ossia l’energia ciclonica accumulata atlantica, sopra alla media dopo essere stato molto al di sotto per quasi tutta la stagione. A livello emisferico la stagione invece rimane molto deludente rispetto alle previsioni, con l’ACE totale molto sotto la media. L’ACE è un ottimo indicatore utile a valutare l’attività generale di una stagione di uragani.
La stagione atlantica si chiuderà certamente sopra alla media come energia accumulata totale, anche in virtù di due uragani che essendo rimasti molto lontani dalla terraferma per un lungo periodo, hanno avuto modo di “accumulare” energia. Kirk e Leslie (ancora attivo) si sono formati ad ovest del Senegal e hanno assunto una traiettoria arcuata che li ha lasciati in aperto oceano liberi di approfondirsi non venendo disturbati dalla terraferma o dalla circolazione zonale. Entrambi finiranno la loro corsa effettuando una transizione extratropicale, venendo perciò “assorbiti” dalla circolazione delle medie e alte latitudini.
Kirk e Leslie (soprattutto quest’ultimo) sono l’esempio di due uragani che in era pre satellitare sarebbero stati o persi o considerati molto probabilmente come delle semplici Tempeste. Nominando Kirk, è doveroso sottolineare, vista la grandissima disinformazione che è stata fatta a riguardo, che ciò che è arrivato sull’Europa nei giorni scorsi non è l’uragano Kirk, ma una depressione extratropicale nata dopo la transizione del fu uragano Kirk in depressione atlantica. Sull’Europa è arrivata, quindi, una depressione atlantica con intensità da tempesta che non aveva alcuna componente tropicale. Una Tempesta extratropicale come ne viviamo diverse nell’arco della stagione fredda in Europa.

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