Arnica Montana, usarla fa bene davvero. Lo dicono due studi
La prima ricerca è stata coordinata da un team di ricercatori coordinati dal professor Paolo Bellavite del Dipartimento di Medicina dell'Università di Verona. L'altra arriva dall'Ospedale Fatebenefratelli e dal Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche "Luigi Sacco" di Milano
L'Arnica montana è una pianta tradizionalmente utilizzata nella cura di traumi, ma finora si sapeva poco sul suo meccanismo d'azione a livello cellulare. Ora ben due studi dimostrano le basi scientifiche del suo funzionamento.
Il primo, pubblicato sulla rivista open-access PlosOne, è uno studio coordinato dal professor Paolo Bellavite del Dipartimento di Medicina dell'Università di Verona, dal titolo "Arnica montana stimulates extracellular matrix gene expression in a macrophage cell line differentiated to wound-healing phenotype"; in esso ci si è concentrati sull’analisi dell'azione sull'espressione genica nei macrofagi umani dell'Arnica montana. I ricercatori hanno utilizzato come modello una linea di cellule macrofagiche umane in coltura, differenziate con interleuchina-4 in modo da farle assomigliare a quelle che si trovano nelle ferite e nei traumi in via di guarigione. Lo studio è firmato anche da Marta Marzotto, Clara Bonafini, Debora Olioso e Anna Baruzzi, tutte del Dipartimento di Medicina; da Laura Bettinetti e Francesca Di Leva del Dipartimento di Biotecnologie di Verona del Centro di Genomica Funzionale e da Elisabetta Galbiati del Dipartimento di Biotecnologia e Bioscienze dell'Università di Milano-Bicocca.
“Si è trattato - spiega Bellavite - di un progetto ampio e articolato comprendente l'uso di misure spettrometriche e di nanoparticelle, isolamento degli acidi nucleici, real-time PCR, sequenziamento completo del trascrittoma (RNA messaggero di tutte le specie prodotte dalle cellule) e analisi bioinformatiche". "In sintesi - conclude il Professore - le più moderne tecniche confermano che le cellule sono dotate di un'altissima sensibilità a livello della regolazione dell'espressione genica tale da renderle capaci di rispondere agli stimoli di medicinali in alte diluizioni. È particolarmente suggestivo sapere che il DNA dei macrofagi umani è ultra-sensibile a tale tipo di regolazione da parte di una pianta conosciuta da secoli per le sue proprietà medicinali".
Successivamente, in gennaio 2017, un secondo studio sull'Arnica montana portato a buon fine da un team di ricerca dell'Ospedale Fatebenefratelli e del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche "Luigi Sacco" di Milano, è stato pubblicato sulla rivista scientifica "Journal of Intercultural Ethnopharmacology", confermando i vantaggi dell'uso di Arnica montana in diluzione 1000 K per contrastare la perdita di sangue post-operatorio e la produzione di sieroma in donne sottoposte a mastectomia totale.
Il Professor Paolo Roberti di Sarsina, dell'Osservatorio Metodi per la Salute dell'Università di Milano- Bicocca, Medico ed esperto di fama internazionale nell'ambito delle medicine complementari, ha aggiunto: "Ormai sono numerosi - anche nonostante i pregiudizi e la quasi totale assenza di finanziamenti per la ricerca - gli studi scientifici pubblicati che confermano la superiorità dei farmaci complementari rispetto al placebo e sull'importanza di un paradigma medico realmente centrato sulla persona, prova ne sia che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha emanato di recente il nuovo piano strategico pluriennale per la valorizzazione di questi paradigmi medici".
A questo link è scaricabile lo studio sugli effetti biologici dell'Arnica montana in alte diluizioni