Manovra, non passano i finanziamenti. A rischio i controlli ambientali dell’Arpa
L’emendamento 135.20 al Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023 non è stato approvato dal Parlamento
In Parlamento non è stato approvato l’emendamento 135.20 al Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023, che cercava di porre rimedio ad una situazione che, secondo il sistema nazionale di protezione dell’ambiente Snpa, cioè l’organizzazione delle agenzie Arpa, dell’Ispra e delle altre istituzioni di ricerca e tutela dell’ambiente, è “divenuta insostenibile a causa di un atteggiamento ostile e corporativo degli ordini e delle professioni sanitarie e di alcune sigle sindacali”. Secondo l’Snpa, “siamo davvero al punto di collasso, con il rischio di dover sospendere tutte le attività ispettive, di controllo e vigilanza ambientale del Paese. E ancora, le altre ricadute porterebbero le Arpa a non poter più assumere giovani laureati nelle discipline delle professioni sanitarie, mancando le specializzazioni triennali nel settore ambientale”. L’emendamento a prima firma di Chiara Braga (Pd) era stato condiviso da tutta la maggioranza parlamentare e analoghe proposte sono state formulate anche da gruppi di opposizione.
Il testo dell’emendamento soppresso
“Dopo il comma 9, aggiungere i seguenti: 9-bis. Al fine di garantire l’implementazione delle funzioni di monitoraggio che il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente di cui alla legge 28 giugno 2016 n. 132, nell’ottica di attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali, deve garantire in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale, le risorse destinate all’attuazione programmi previsti dall’articolo 11 comma 3 del decreto legislativo 13 ottobre 2010 n. 190, a decorrere dall’anno 2021 sono incrementate di 6 milioni di euro.
9-ter. Anche al fine di favorire un’adeguata razionalizzazione dei costi del relativo personale non è riconducibile nell’ambito delle professioni sanitarie l’attività svolta dai dirigenti e dagli operatori, con laurea in chimica, fisica e biologia, in servizio presso gli enti e le agenzie del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente di cui al comma 1, anche se iscritti ai rispettivi ordini professionali, assunti per operare nei settori di competenza, in relazione alle esigenze organizzative e funzionali dei suddetti enti o agenzie, ed inquadrati, rispettivamente, nel profilo di dirigente ambientale (ruolo tecnico) e nei profili di collaboratore tecnico professionale e di collaboratore tecnico professionale senior.
9-quater. All’articolo 5, comma 2 del decreto legislativo 13 settembre 1946, n. 233, recante ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «. Gli operatori appartenenti agli enti del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente istituito dalla legge 28 giugno 2016, n. 132 sono tenuti ad iscriversi agli albi degli ordini delle professioni sanitarie unicamente ai fini dell’espletamento delle attività riservate in via esclusiva alla competenza degli appartenenti agli ordini medesimi».
9-quinquies. All’articolo 2, comma 3, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, recante Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Gli operatori appartenenti agli enti del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente istituito dalla legge 28 giugno 2016, n. 132 sono tenuti ad iscriversi agli albi degli ordini delle professioni sanitarie unicamente ai fini dell’espletamento delle attività riservate in via esclusiva alla competenza degli appartenenti agli ordini medesimi».”
Il problema di una legge del 2018
La situazione a cui si cerca di porre rimedio è quella determinata dalla legge 3/2018, la cosiddetta Legge Lorenzin (la parlamentare peraltro è d’accordo con la riforma di questa norma e ha sottoscritto l’emendamento Braga) sulle professioni sanitarie, secondo la quale chimici, fisici, biologi (tutti con la “caratterizzazione” sanitaria del contratto di lavoro e ora classificati come esponenti delle “professioni sanitarie” dalla legge 3/2018) secondo alcune organizzazioni sindacali di settore (e secondo alcune recenti sentenze di un paio di Tar) devono necessariamente essere inquadrati come dirigenti, ribaltando quanto accaduto nelle agenzie da una quindicina d’anni, per effetto dei contratti del 2005 che consentivano l’assunzione di questi laureati come degli altri, nel comparto, e l’accesso alla dirigenza in determinate condizioni.
Alcuni ordini di queste categorie professionali stanno impugnando i concorsi delle Arpa banditi in varie parti d’Italia per assumere persone nel comparto anche come biologici o chimici perché secondo loro possono essere assunti solo come dirigenti.
La contestazione
Secondo l’Snpa, “qualora si ritenesse sussistere un obbligo generalizzato di iscrizione agli albi delle professioni sanitarie unicamente in ragione del possesso del titolo di studio, a prescindere dalle effettive mansioni svolte, nelle agenzie ambientali si determinerebbe una palese disparità di trattamento tra operatori esercitanti analoghe funzioni in materia di vigilanza e controllo ambientale, che a seconda unicamente del diverso titolo di studio sarebbero soggetti a differenti obblighi l’esercizio della relativa professione nell’ambito della pubblica amministrazione. Senza pensare che le altre professionalità potrebbero, come purtroppo sta succedendo, accusate del reato di esercizio abusivo della professione sanitaria”. Il Consiglio Snpa in questi giorni discute la situazione per adottare le iniziative che si riterranno più opportune.