Efficienza energetica nell’industria, investimenti a -20% nel 2020
I dati del Digital Energy Efficiency Report 2021, redatto dall’Energy&Strategy Group. Chiaroni: “Il 2021 ha portato un’ulteriore riforma dei Certificati Bianchi, purtroppo nella direzione sbagliata
Nel 2020 in Italia gli investimenti per l’efficienza energetica nel comparto industriale (poco più di 2 miliardi di euro, di cui il 90% in tecnologie hardware e solo l’8% in software per il monitoraggio dei cicli produttivi) sono diminuiti del 19,6% rispetto all’anno precedente, ma non è tutta colpa del Covid. Già nel 2018-2019 era in atto una frenata, dopo la crescita del triennio 2015-2017, le cui cause sono da ricercare in un quadro normativo incerto (in particolare per i Certificati Bianchi) e volto in direzioni opposte a quelle segnalate dagli operatori come necessarie per riprendere la crescita. È alle ragioni profonde di questa crisi, e alle soluzioni per uscirne, che è dedicato il Digital Energy Efficiency Report 2021, redatto dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano e presentato in questi giorni.
“Il 2021 ha portato in dote un’ulteriore riforma dei Certificati Bianchi, ma la direzione è ancora quella sbagliata, perché non ha tenuto conto di nessuna delle proposte avanzate dalle imprese del settore - commenta Davide Chiaroni, Vicedirettore dell’E&S Group -. Un intervento incompleto che si traduce in un rischio per il comparto industriale legato all’efficienza energetica, come investitore o come fornitore di tecnologie o servizi. Per risolvere i problemi del comparto è necessario andare oltre il PNRR e riprendere in mano seriamente il tema dei Certificati Bianchi. Ci sono lo spazio e il tempo per farlo, le idee e anche la fiducia degli operatori e delle imprese, che guardano agli investimenti in efficienza energetica come a un patrimonio su cui fare leva per l’effettiva ripartenza”.
I numeri
Entrando nel dettaglio, quasi il 20% degli investimenti in soluzioni hardware ha riguardato interventi sul processo produttivo (373 milioni di euro), il 18% gli impianti di cogenerazione (350 milioni) e il 15% i sistemi di combustione efficienti (circa 300 milioni), il 12% l’illuminazione (240 milioni); in coda sistemi HVAC, motori elettrici, inverter e sistemi di aria compressa (tra il 7% e il 10% degli investimenti totali). I 168 milioni di euro investiti in soluzioni software, invece, si sono concentrati su monitoraggio e sensoristica di base (oltre il 65% del totale). È indubbio che la pandemia abbia pesato, portando un rallentamento nelle soluzioni digitali e di flessibilità nell’anno in cui invece ci si aspettava un loro balzo in avanti. Tuttavia, il calo degli investimenti in efficienza energetica nel comparto industriale in Italia è stato solo accelerato dal Covid.
Alla ricerca delle cause della crisi
Nonostante l’introduzione, negli anni, di vari Decreti relativi ai Certificati Bianchi e al loro rilancio, il mercato ha continuato il trend di contrazione: nel 2020 sono stati riconosciuti 1.720.903 Certificati, circa 1.180.000 in meno rispetto al 2019 (-41%, contro il -24% dell’anno precedente). In buona sostanza, negli ultimi 2 anni il numero di Certificati Bianchi riconosciuti è più che dimezzato e questo ha comportato uno squilibrio sul mercato, con gravi conseguenze verso i soggetti obbligati che hanno riscontrato sempre più difficoltà nell’adempimento degli obblighi previsti dalla normativa. Facendo un confronto dal 2013, nel 2019 la percentuale di copertura è stata significativamente minore (-20%) ed equivalente al minimo previsto per legge.
Il solo calo degli investimenti non giustifica questo andamento del mercato, ma la connessione con la diminuzione della richiesta dei Certificati Bianchi ha prodotto un circolo vizioso: meno concessioni hanno portato a meno domande, e viceversa. Nel 2020, infatti, il 90% delle richieste si è concluso negativamente, ben oltre la soglia che ci si attenderebbe da un processo di valutazione efficiente condotto dal GSE. Il 31 maggio 2021 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale l’ennesima riforma dei Certificati Bianchi, ma è apparso subito evidente come le proposte avanzate dagli operatori del settore non fossero state accolte, destando grandi perplessità. Particolarmente sensibile il meccanismo di valorizzazione dei Certificati Bianchi: se si combinano la normativa che regola le Aste, i Certificati Bianchi virtuali e la mancanza di un floor, ossia un meccanismo di minimo valore per la definizione del prezzo, è assai difficile che si possa concretizzare una situazione di mercato favorevole.
Il PNRR e l’uscita dalla crisi. Ma si potrebbe fare di più
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede uno stanziamento di 29,44 miliardi di euro per l’efficienza energetica nel comparto industriale e dei servizi, permettendo di stimare una crescita anno su anno del 17% e di arrivare al 2023 a quasi 3 miliardi di euro di investimenti, cancellando i danni della pandemia. E tuttavia si può aspirare anche a fare meglio: nello scenario “policy driven” disegnato dall’E&S Group, dove accanto al PNRR ci fosse una riforma vera dei Certificati Bianchi, si potrebbe raggiungere al 2023 un livello di investimenti di oltre 3,1 miliardi, pari al 120% di quanto registrato nel 2019. Al contrario, in assenza di questi strumenti di stimolo lo scenario attuale “as is” avrebbe portato a una crescita lieve degli investimenti nel 2021 (+2% sul 2020), in linea con il 2018-2019, e a una più sostenuta nel 2022-2023, comunque limitata al 5% anno su anno, superando i 2,3 miliardi nel 2023 (il 90% di quelli nel 2019), mentre senza il Covid lo scenario “tendenziale” avrebbe portato gli investimenti a circa 2,9 miliardi.
Focus sulla digital energy
Il Digital Energy Efficiency Report 2021 ha analizzato anche la diffusione in azienda di soluzioni di sfruttamento (valorizzazione o monetizzazione) dei dati energetici. Con data valorization si intende la rielaborazione e il successivo utilizzo dei dati raccolti dalle tecnologie software a supporto di decisioni interne (ad esempio per la negoziazione dei prezzi dell’energia, l’ottimizzazione dei consumi energetici o degli impianti produttivi, la riduzione delle emissioni). Con data monetization si intende invece la vendita di quegli stessi dati.
Il 67% delle imprese analizzate applica la data valorization (il 78% di esse ha sviluppato la soluzione internamente) e nel 90% dei casi usa i dati raccolti per individuare misure di efficienza energetica e ottimizzare i consumi, nel 60% per negoziare il prezzo dell’energia elettrica con il proprio fornitore. Meno diffuso (52%) l’utilizzo di dati per l’ottimizzazione degli impianti produttivi e il monitoraggio delle emissioni. Del 33% che non applica il paradigma, il 70% dichiara che non lo farà nemmeno in futuro. Molto meno confortanti i dati relativi alla monetizzazione delle informazioni energetiche: ben il 98% del campione dichiara di non applicarla e in larghissima parte di non avere intenzione di farlo nemmeno in futuro (90%).
La survey 2021: energy manager ed ESCo
In questa undicesima edizione del DEER, le consuete survey - la prima condotta tra 300 energy manager negli otto settori industriali più “energivori” e la seconda tra oltre 350 ESCo e Utility con servizi di efficienza energetica attive nel mercato italiano - riguardano il tipo di investimenti effettuati nel 2020 e lo “stato di salute” del comparto. Il 65% degli intervistati dichiara di avere investito in soluzioni hardware per l’efficienza energetica (-4,5% rispetto al 2019), percentuale che sale al 79% per le grandi aziende (-1% sul 2019) e cala al 45% (-11%) per le PMI, da sempre meno propense a questo tipo di interventi. Infatti, se nel 2018 le percentuali erano simili (88% grandi aziende vs 83% PMI), a partire dal 2019 si è assistito a un netto calo degli investimenti nelle PMI (-27%, contro il -8% delle grandi aziende). Solo il 38% del campione, invece, dichiara di aver investito in soluzioni software nel 2020 (-6% sul 2019), egualmente distribuito tra PMI (35%) e grandi aziende (39%).
Le barriere più rilevanti agli investimenti in efficienza energetica si confermano quelle relative agli eccessivi tempi di ritorno, all’incertezza del quadro normativo e all’interazione critica con il processo produttivo, seppur in flessione rispetto agli anni precedenti. La pandemia, nonostante i pesanti effetti negativi dal punto di vista economico, si colloca solo al quarto posto. Nel 2020 le ESCo certificate sono aumentate dell’1,6% rispetto al 2019, in continuità con il trend registrato tra 2019 e 2018 (+1%). Il numero dei dipendenti (in media 27) è invece sostanzialmente stabile, dopo il leggero calo tra 2019 e 2018. I ricavi, principalmente a causa degli effetti della pandemia e della contrazione del mercato dei Certificati Bianchi, sono diminuiti di 3,5 miliardi di euro (-3,8%) sul 2019: il fatturato medio si è attestato a 9,4 milioni di euro e l’Ebitda complessivo è sceso a 336 milioni (con un rapporto sul fatturato pari al 9,3% contro il 9,5% del 2019), a conferma delle ricadute del Covid sull’economia e della maturità raggiunta dal mercato, che limita la marginalità degli operatori.
Confrontando però le aspettative per l’anno in corso rispetto ai dati del 2020, il 31% dei rispondenti ritiene che il proprio fatturato crescerà fino al 10%, il 13,4% fino al 20% e quasi il 18% addirittura oltre il 20%. Solo 1 su 5, invece, si aspetta un trend negativo, a testimonianza di un certo ottimismo tra gli operatori, confermato dal 25% che prevede di aumentare il numero dei dipendenti anche del 10% (per il 40% degli intervistati resterà invariato) e dal 30% che si aspetta un Ebitda in crescita fino al 10%. Tuttavia, gran parte della crescita del fatturato è legata a interventi nel settore civile, che grazie al Superbonus è visto come una sorta di salvagente dalle ESCo, in particolare da quelle in crisi: uno spostamento così netto di focus potrebbe distogliere le competenze delle ESCo dalla costruzione di un futuro nel comparto industriale e arenarsi quando la spinta data dal Superbonus si esaurirà.