Fondazione Barilla, ecco i progetti vincitori di “Bcfn yes! 2018”
I tre progetti vincitori di un assegno di ricerca da 20.000 euro ciascuno. I progetti vincitori promuovo l’agricoltura sostenibile in Belize, Tanzania e Etiopia
L’assegno di ricerca del BCFN YES! 2018 Research Grant Competition è stato consegnato a Henry Anton Peller (USA) e Cathy Smith (Gran Bretagna); Martina Occelli (Italia) e al team composto da Geraldin Lengai, Margaret Gumisiriza Ssentambi e Becky Aloo (Kenya e Uganda). Organizzato dalla Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition (BCFN), il concorso è rivolto ai giovani dottorandi e ai ricercatori post doc di tutto il mondo che si sono distinti nell’ideazione di progetti di ricerca che promuovono la sostenibilità agro-alimentare.
L’edizione 2018 di BCFN YES! ha premiato i progetti innovativi dedicati agli agricoltori nel sud del Belize; alla “conoscenza collettiva” per favorire la produttività dei suoli in Etiopia, e all’adattamento dei sistemi idroponici ad un contesto urbano in Africa sub-sahariana. La presentazione dei dieci progetti finalisti, la selezione dei vincitori e la cerimonia di premiazione si sono tenute presso il Pirelli HangarBicocca di Milano, nel corso del 9° Forum Internazionale su Alimentazione e Nutrizione organizzato dalla Fondazione BCFN. Ognuno dei progetti vincitori ha ricevuto un premio di 20.000 euro per portare avanti il loro progetto di ricerca.
Alla settima edizione di “BCFN YES!” hanno partecipato i 123 progetti di dottorandi e ricercatori postdoc under 35, provenienti da 52 Paesi e distribuiti nei 5 continenti. Una giuria internazionale di esperti, nella prima fase, ha selezionato i 10 migliori progetti, basandosi sulla solidità scientifica, sul framework teorico, sul grado di innovazione e l’impatto di ciascun progetto di ricerca. Dopo la presentazione dei dieci progetti finalisti sono stati individuati i 3 progetti vincitori. Si tratta di: “Yes! to participatory agroecology: farmer-led plant breeding and soil regeneration in Maya milpas of Southern Belize”; “The silent revolution: how smallholder farmers collective knowledge is shaping soil productivity in Ethiopia”; “Enhancement of sustainable agriculture through adoption of bio-integrated crop management among small holder tomato farmers in Tanzania: conventional versus non-conventional farming methods”La Fondazione BCFN continua così a incoraggiare e supportare giovani scienziati che intraprendono attività di ricerca per far fronte alle problematiche del nostro sistema alimentare.
10 progetti finalisti:
Soulé Akinhola Adechian (Benin): "Contribution of social capital to improve indigenous leafy vegetables (ILVs) business model performance in Benin” ha l'obiettivo di analizzare il contributo del capitale sociale (SC) per migliorare le prestazioni dei modelli di business legati alle verdure indigene a foglia in Benin.
Binod Khanal (Nepal) propone un progetto dal titolo: “Male out-migration and agricultural feminization: agricultural productivity and farm drudgery among females in Nepalese agrarian households”, in cui studia le migliori politiche per aiutare le donne che sempre di più nel loro Paese hanno la responsabilità delle attività agricole considerato che la migrazione è soprattutto maschile. Le donne finiscono per doversi occupare (da sole) dei campi, in aggiunta a tutte le altre incombenze domestiche.
Frejus Thoto (Benin): lo studio “Shaping the business environment for successful youth engagement in agricultural entrepreneurship: a case study of Benin/West Africa” racconta quanto sia difficile per i giovani africani disoccupati avviare una propria impresa agricola. La sua ricerca è finalizzata a trovare le migliori politiche per creare un ambiente economico che favorisca l'imprenditorialità.
Anke Brons (Paesi Bassi): con il progetto “Changing food practices in a changing food environment: the case of Syrian and Turkish migrants in Almere” racconta la difficoltà di adottare diete sostenibili quando occorre combinare le proprie tradizioni culinarie con i prodotti effettivamente disponibili sul mercato. Il caso affrontato è quello dei migranti Siriani e Turchi in Almere.
Henry Anton Peller (Usa) e Cathy Smith (Gran Bretagna): “Yes! to participatory agroecology: farmer-led plant breeding and soil regeneration in maya milpas of Southern Belize” vogliono aiutare gli agricoltori nel sud del Belize a rigenerare la qualità dei loro suoli attraverso l’agro-ecologia partecipativa.
Matt Salomon (Germania) grazie alla sua proposta dal titolo: “Can a city feed its people? Analysis of urban soils in Adelaide towards their safety and potential for urban agriculture” studierà come l’agricoltura urbana possa essere la soluzione ideale per le città che vogliono garantire cibo sano e di qualità ai propri abitanti.
Moritz Gallei (Germania) e Obi Chinedu (Nigeria) con il progetto “Can information campaigns break the food insecurity and migration trap? A randomized experiment in Edo State, Nigeria” spiegano che una delle cause meno conosciute delle migrazioni è l'informazione (incompleta o errata) che arriva nelle zone rurali dei Paesi più poveri attraverso i social network e i canali non-ufficiali, che induce le persone a sopravvalutare le opportunità che nascono da una migrazione illegale e sottovalutarne i rischi.
Martina Occelli (Italia) il progetto “The silent revolution: how smallholder farmers collective knowledge is shaping soil productivity in Ethiopia” propone un sistema di "conoscenza collettiva" per favorire la produttività dei suoli in Etiopia attraverso la condivisione di esperienze e informazioni degli agricoltori.
Con “Enhancement of sustainable agriculture through adoption of bio-integrated crop management among small holder tomato farmers in Tanzania: conventional versus non-conventional farming methods” il team composto da Geraldin Lengai, Margaret Gumisiriza Ssentambi e Becky Aloo (Kenya e Uganda) indaga su come implementare, tra i piccoli agricoltori in Tanzania, l’uso di pesticidi botanici e rhizo fertilizzanti per migliorare la resa dei pomodori coltivati sia nel terreno che attraverso sistemi idroponici.
Anna Grace Tribble (Stati Uniti) è una ricercatrice statunitense che dopo aver vissuto in Iraq per lunghi periodi sta cercando di trovare soluzioni operative per arginare il dilagante problema dell'obesità nei Paesi colpiti da guerra e sanzioni economiche. Per questo motivo ha presentato il progetto “We just ate dry bread": understanding and halting the intergenerational chronic disease outcomes of young adults in Iraqi Kurdistan”.