Nuovi inceneritori, il 9 settembre la Conferenza Stato-Regioni
Molte le voci contrarie al provvedimento di fine luglio, che attua l’art. 35 dello “Sblocca Italia”. Tra queste anche quelle dei governatori delle regioni interessate, che però potrebbero essere scavalcati dal Governo
In vista della conferenza Stato-Regioni, che nella riunione del 9 settembre prossimo esaminerà il contestato Decreto di fine luglio in attuazione dell’Art. 35 del D.L. 133/2014 Sblocca Italia” e che prevede la realizzazione di 12 nuovi inceneritori di rifiuti sul territorio nazionale, sono molte le voci che si alzano contro il provvedimento che sembra ostacolare la strada all’economia circolare che punta al riciclo dei materiali per privilegiare maggiormente quella del recupero energetico.
Il 29 luglio scorso le Regioni hanno ricevuto la bozza di decreto legislativo sulla realizzazione di nuovi impianti di incenerimento. La bozza prevede dunque l'autorizzazione di 12 nuovi inceneritori in dieci regioni: due in Toscana e in Sicilia, una in Piemonte, Liguria, Veneto, Umbria, Marche, Campania, Abruzzo e Puglia.
Tutti i governatori contro – Ebbene, quasi tutti i presidenti interpellati hanno già fatto sapere di non voler realizzare alcun impianto per la ragione elementare che non servono e anche perché puntano, come sostiene l’Europa, sulla raccolta differenziata. Il presidente della Puglia, Michele Emiliano, garantisce che sul suo territorio non sarà costruito nessun inceneritore: “È uno degli impegni che abbiamo preso in campagna elettorale. Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte, è altrettanto risoluto: “Di inceneritori ne abbiamo uno e ci basta: il termovalorizzatore del Gerbido, alle porte di Torino, brucia quasi 416mila tonnellate di rifiuti l’anno. Non ne sono previsti altri”. Rosario Crocetta, governatore siciliano: “Io i termovalorizzatori non li farò mai. Per Luca Ceriscioli, eletto a fine maggio nelle Marche, un nuovo impianto sarebbe inconcepibile: la raccolta differenziata è già al 63 per cento e si avvicina a rapidi passi al 70. Mancherebbero proprio i rifiuti con cui alimentare il termovalorizzatore: non abbiamo spazzatura da bruciare”. Anche il toscano Enrico Rossi, come i governatori precedenti, è stato eletto nel Pd. E nemmeno lui conosce il frutto avvelenato dello Sblocca Italia: “Non sapevo che il decreto prevedesse inceneritori in Toscana, né che da noi debbano essere addirittura due. Non è prevista la costruzione di alcun impianto”. Catiuscia Marini (sempre Pd), governatrice dell’Umbria, conosce i piani del governo per la sua Regione, ma non ha nessuna intenzione di autorizzarli: “Non avrebbe senso. Abbiamo una differenziata, in crescita, al 50 per cento, con picchi del 70 a Perugia. Pure la Campania di Vincenzo De Luca dice no. Dal suo staff arriva una risposta netta: tra quattro anni, secondo le stime, ci saranno 700mila tonnellate di rifiuti da smaltire. Per questa cifra basta l’impianto di Acerra: non ce ne vuole un altro. La previsione del governo è basata su dati superati, numeri vecchi. Nel Veneto Luca Zaia spiega che “esistono già tre inceneritori e non ne costruiremo altri: siamo una Regione riciclona e puntiamo dritti sul compostaggio”.
Infrastrutture strategiche - Il problema è che il presidente del Consiglio Renzi potrebbe non aver bisogno del parere delle Regioni, se decidesse di forzare la mano: l’articolo 35 dello Sblocca Italia definisce i termovalorizzatori “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell’ambiente”. E il comma 7 stabilisce l’applicazione del “potere sostitutivo”: in sostanza, se le Regioni negano il consenso all’impianto, il Consiglio dei ministri può decidere di scavalcarle.
Intanto l’Associazione Comuni Virtuosi ha inviato a tutti i Presidenti di Regione una lettera aperta per chiedere loro di impugnare il provvedimento. “La strategia nazionale di gestione dei rifiuti non può e non deve più passare dall’incenerimento, ma puntare dritto verso quell’economia circolare di cui l’Europa discute da tempo e che vede il nostro Paese in grande ritardo. La Direttiva CE 98/2008 stabilisce una precisa gerarchia nella gestione dei rifiuti, che vede solo al penultimo posto e come estrema ratio la possibilità del recupero energetico derivante dalla combustione dei materiali post consumo. In Italia, non si capisce il perché, si fa esattamente il contrario, stravolgendo l’ordine delle cose e mettendo in fondo agli obiettivi da conseguire la prevenzione, la riduzione e la differenziazione dei rifiuti”.
“Si tratta di una proposta da respingere al mittente per tanti motivi evidenti - ha commentato Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente su Ecodallecittà. Il primo motivo è che Palazzo Chigi fa finta di non vedere che ancora una volta manca l’oggetto del contendere, e cioè i quantitativi di rifiuti”. “Impossibile non tener conto dell’aumento inesorabile delle quantità avviate a riciclo, oltre che di quelle oggetto delle inevitabili politiche di prevenzione. I quantitativi da bruciare in nuovi impianti sono sovrastimati dal governo perché sono calcolati su un obiettivo del 65% di raccolta differenziata già ampiamente superato in diverse regioni (a partire da Veneto, da Friuli Venezia Giulia, Marche). Gli impianti da poco costruiti, come ad esempio quello di Parma, sono in grande difficoltà perché grazie alle raccolte differenziate domiciliari e la tariffazione puntuale non hanno più i rifiuti dal territorio che li ospita e sono costretti a cercarli da altre regioni. Il sindaco di Parma Federico Pizzarotti ricorda che se il “modello Parma” di raccolta e gestione rifiuti venisse preso a esempio dal resto dell’Emilia Romagna, entro il 2020 si potrebbero chiudere sette inceneritori sugli otto presenti in Regione.
“Caro Presidente - scrive il primo cittadino a Renzi - la gestione dei rifiuti è un tema su cui l’azione di governo non si dimostra determinata nel perseguire le buone pratiche, quali quelle che il Comune di Parma, insieme a diverse altre realtà locali, sta già attuando da anni. Nel Paese, fin troppo spesso agli “onori” della cronaca per le emergenze ambientali, esistono esperienze virtuose che dimostrano come sia possibile ridurre al minimo il ricorso a discariche e inceneritori, applicando modelli di raccolta differenziata diventati un esempio anche per altri paesi dell’Ue. “Nella mia città, seconda in Emilia-Romagna per numero di abitanti - quasi 200.000 -, abbiamo raggiunto risultati fino a pochi anni fa impensabili, toccando nel 2014 il 70% di raccolta differenziata, contro il 48% del 2012. Senza troppi giri di parole, oggi un cittadino di Parma manda a smaltimento la metà dei chili di rifiuti rispetto ad un bolognese”.